Visualizzazione post con etichetta Gabriel. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Gabriel. Mostra tutti i post

14/02/10

Ali d’Acqua - Finale

Angel & Mermaid 08 di Robi & Samy California

I loro piedi increduli saggiavano la matericità della Spiaggia, consci di essere lì, per la prima volta, e che era sabbia quella che toccavano, bianca e consistente. Pietra erosa dal vento dei millenni, per loro, solo per loro.
Gabe si voltò verso l’Oceano da cui erano appena emersi, e riconobbe le linee delle Onde, il cui canto silenzioso tante volte aveva ammirato, abbracciato al corpo astrale di Grace. L’Ondina era al suo fianco, e gli stringeva la mano. Tremava, quella mano, era di carne e sangue e tendini e muscoli. L’aveva stretta sotto il Golden Gate, l’aveva tenuta contro il suo petto, giurando di non lasciarla mai. Ora era stretta alla sua, nella Spiaggia Bianca dove le loro impronte, finalmente, lasciavano traccie sulla sabbia.
- Realtà... - mormorò l’Arcangelo, guardandosi intorno, con un sorriso pieno di emozione.
- ...fatta Sogno - concluse Gracelyn, stringendogli ancora più forte la mano.
Camminarono senza dire altro, verso il divano rosso, che li attendeva poco distante dalla battigia. Melville il gabbiano, appena tornato da un volo di ricognizione, li aspettava, e fece loro posto, mettendosi sulla spalliera. Si sedettero, senza che le loro mani si lasciassero.
Il tessuto - impossibile dire cosa fosse, anche se al tatto sembrava pelle - era morbido e fresco, come anche l’aria intorno a loro. Un Paradiso ritrovato, o scoperto per la prima volta. In cui rimanere per sempre.
- Ma siamo veramente qui? Con i nostri corpi materiali, voglio dire? - chiese Grace, toccando con le dita la mano di Gabriel, stretta nella sua.
- Si, siamo proprio qui - rispose l’Arcangelo - finalmente possiamo sentire la brezza che ci accarezza, portandoci il profumo del mare. E il rumore delle onde, ora, copre le parole sussurrate.
- Secondo te c’è un perché?
- Non lo so... non può essere un premio, perché il nostro compito non è ancora finito. Chissà cosa accadrà ora... - disse Gabe.
Gracelyn chiuse gli occhi, e sospirò profondamente - L’Apocalisse- rispose.
- Già, soprattutto se noi rimaniamo qui...
Il Kraken e il Leviatano erano scatenati, il pianeta si trovava sull’orlo di una crisi epocale, forse definitiva, e loro erano stati mandati per compiere una missione.
Gabe si alzò in piedi, e fissò l’Oceano. Sospirò a sua volta, poi si voltò verso l’Ondina, che era rimasta distesa sul divano, con le gambe piegate, e la testa poggiata sulle braccia, fissandolo con uno sguardo indefinibile.
- Michael mi ha dato la chiave per la soluzione - disse l’Arcangelo - un paradosso scientifico.
- Forse la nostra presenza qui è legata a questo... - mormorò Grace, quasi a se stessa.
Gabriel raccontò con pochi, veloci tratti quello che lui e il fratello Celeste si erano detti, a San Francisco, prima di volare per liberarla dalla stretta morsa delle rocce, tremila metri sotto la superficie del mare.
- Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. E il risultato è già scritto, i mostri non possono vincere. Quindi...
- Ci sono! - esclamò Gracelyn, stringendogli la mano - Dobbiamo scambiarci gli avversari! Tu il Kraken, io il Leviatano.
- Già, è proprio quello che mi ha suggerito Michael... - le rispose sorridendo Gabe.
- Si, ma dovremo farlo rimanendo qui. Saranno i nostri corpi astrali a raggiungere la dimensione terrestre e...
- ...e noi li guideremo. Da qui. Dalla Spiaggia Bianca.
Melville lanciò un grido, che ai due prescelti parve pieno di sardonica gioia.

Gracelyn osservava il corpo del mostro riverso di fronte a lei. Non era stato difficile. Aveva creato una serie di campi di forze che avevano imprigionato le bolle di energia del Leviatano, costringendole a implodere, e questo aveva esaurito le forze del colosso, che si era lentamente accartocciato su se stesso, fino a diventare una massa secca e contorta di materia inerte. Non era stato difficile, solo un po’ di sudore e un leggero mal di testa, che un soffio d’aria fresca avrebbe mandato via.

La Spada brillava nella mano di Gabriel, luminosa e tinteggiata di rosso. Il Kraken, col suo unico occhio squarciato e sanguinante, rantolava ai suoi piedi, cercando, con un ultimo guizzo, di capovolgere le sorti dello scontro.
- Non puoi combattere quello che non riesci a vedere - mormorò l’Arcangelo - e tu non hai mai visto la Luce, aberrazione infernale!
Falciò l’aria con la Lama Divina, tranciando di netto la testa del mostro, che rotolò via, lasciando dietro di sé una scia di liquido nerastro.
Gabriel alzò lo sguardo al Cielo, aprì le sue ali, e volò via, in un lampo di Luce bianca.

Chuck sedette sul ponte della barca, con la testa pesante, ma felice. Raphael e Michael, prima di volare via gli avevano spiegato cosa fosse accaduto, rassicurandolo sulle sorti di Gabe e Grace, e su quelle della sua città. Finalmente i pensieri non gli urlavano più nel cervello. Finalmente tutto era calmo, e sereno, e pacifico. A Sidney era ripresa la caotica vitalità di sempre. Pensò alla sua famiglia, che lo aspettava, poteva sentirli, con la coda della mente. Per loro, come per il resto del mondo, il tempo era tornato all’istante precedente il Disastro, cancellando ogni traccia delle devastazioni, anche dalla memoria. Chuck sorrise, e si preparò ad andare a casa.

C’era una cosa che Devereaux non aveva mai capito. E non avrebbe mai capito, ma di sicuro era importante, per comprendere la vera natura della sua enigmatica Direttrice: perché non l’aveva mai vista bere, e perché non portava mai scarpe coi tacchi alti.
- Mysteriès des femmes... - mormorò, scuotendo la testa.

- Tu lo sapevi! - sbottò Poseidon, battendo col pugno sul piano del terminale video, e lanciando una sonora risata, che riempì le stanze e i corridoi di Atlantide, facendo vibrare l’acqua dove Sirene e Tritoni nuotavano pigramente.
- Si. Ma è come un film che ti è piaciuto particolarmente - rispose il Capo - anche se conosci il finale, mantieni sempre una certa... sospensione dell’incredulità, per gustartelo ancora, e ancora, e ancora...
Poseidon socchiuse gli occhi, fissando la faccia dall’altra parte del video - Dimmi un po’ – disse - quando finirà il Mondo?
- Chiedi troppo - ridacchiò il Capo - domanda di riserva?
- Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
- A fare qualche set di tennis? No, meglio di no... sono troppo vecchio per queste cose. Meglio un caffè.
- Si, ma solo se offri Tu! - disse il Signore di Atlantide, alzandosi dalla poltroncina.
- Mi sembra il minimo, dopo tutte le emozioni che ho fatto patire al tuo cuore stagionato!

Michael giocherellava coi bottoni della sua giacca di pelle nera -un regalo di Gabe, per la maturità - e rimaneva stranamente in silenzio.
- Cos’hai? - chiese Raphael - Mi sembri triste.
- Non è tristezza... - lo rassicurò il giovane Arcangelo - sto pensando...
L’Arcangelo Maggiore si avvicinò al compagno, e gli mise una mano sulla spalla - E a cosa pensi?
- All’Amore, Raphy, all’Amore... - disse Michael, sollevando lo sguardo. Il cielo era sgombro da nuvole, e il sole del primo pomeriggio si rifletteva sulla superficie della Baia. San Francisco era tornata alla sua consueta frenesia, tutte le tracce della distruzione arrecata dal Leviatano, scomparse, come mai avvenute.
- L’Amore, già... - mormorò Raphael, sorridendo - ...una cosa strana, dicono.
- Si, l’ho sentito dire anch’io. E vedo Gabriel come lo vive... ma non capisco... - disse il giovane, scuotendo le ali - Come funziona? Come ci si innamora? Tu che hai più esperienza, dimmi... sei mai stato...
Raphael lo interruppe con un cenno della mano, poi indicò un punto a un centinaio di metri da loro - Guarda! - disse.
Proprio sotto il Golden Gate, illuminata da un raggio di sole che si faceva spazio in mezzo all’ombra della struttura metallica, brillava una conchiglia a forma di stella.
- Bella... - disse Michael, con indifferenza.
- No - ribatté Raphael - è magnifica.
Michael guardò l’Arcangelo Maggiore, poi la conchiglia. E comprese: era vero. Non era bella. Era una magnifica meraviglia. Creata senza un apparente motivo, senza niente da capire. Meravigliosa e basta. Come l’Amore.

Le onde lambivano pigramente la sabbia della battigia. Gabe e Grace, abbracciati in silenzio sul divano, si scambiavano l’Amore con gli sguardi. Melville si alzò in volo, lasciandoli soli, e come era stato scritto, il Sole tramontò, e per la prima volta fu la Notte, accompagnata da melodie astrali cantate dalla Luna, con il suo coro di Stelle, sulla Spiaggia Bianca.

FINE

So It must be…


Auguri Samanta


Buon San Valentino

Amore mio


Ti Amo


il Tuo

Roberto

 

10/02/10

Ali d’Acqua XV

Water Wings XVIII

Emersione

Buio. Freddo. Gracelyn aprì gli occhi, ma nessuna luce spazzò via l’oscurità. Per un attimo credette di essere diventata cieca, e un brivido le corse lungo la schiena. Poi ricordò: il Kraken, la lotta, la pioggia di pietre che le rovinavano contro, seppellendola, schiacciandola sul fondo dell’Oceano.
Prima di perdere i sensi, l’Ondina si era istintivamente circondata di un campo di forza telecinetico. Quello le aveva salvato la vita, e continuava a proteggerla, sotto tonnellate di roccia, che la pressione a tremila metri di profondità saldava le une alle altre, come un tumulo.
Un debole richiamo, nella sua mente, l’aveva risvegliata. Una voce conosciuta, che la cercava, chiamandola, con disperata ostinazione. Chuck, il suo amico Chuck, che non si arrendeva, non voleva crederla morta, e questa sua fiducia quasi folle, aveva riportato indietro la Figlia dell’Oceano, persa nell’oblio.
Ma la sua condizione sembrava senza via d’uscita: le rocce, spinte dalla pressione dell’acqua, premevano sempre più contro il campo di forza, e Grace faceva sempre più fatica a mantenerlo saldo, e stabile. Presto anche la sua energia atlantidea non sarebbe più stata sufficiente a controbattere la pressione, il campo di forza avrebbe ceduto, e lei sarebbe morta.

Rumori, deboli, lontani eppure vicini. Come acciaio che cozza contro una superficie solida. E pensieri. Pensieri così potenti da accelerarle il battito del cuore. Gabriel. Il suo Gabriel. Era lì, poco distante, era lì, era venuto a salvarla. Non era morto, Gabriel! Riusciva a sentirlo, con il cuore più che con i sensi, sentiva la Spada di Luce che tagliava le rocce, cercando di creare un varco per raggiungerla. “Dio, anzi, Capo”, come avrebbe detto Gabe, “fa che resista, ti prego! Non farmi cedere proprio ora!”, pregava l’Ondina, col respiro mozzato, distesa col petto premuto contro la sabbia compatta e dura del fondo dell’Oceano.
Ma c’era un’altra Voce, oltre quella di Gabriel, oltre quella di Chuck. Grace riusciva a sentirla. E anche questa parlava al suo cuore, non al cervello, non le arrivava dai poteri telepatici, che erano il suo retaggio di Figlia del Mare. Le arrivava da Altrove. Era una Voce simile a quella di Gabe, ma più tranquilla, più consapevole, più matura. E non parlava a parole. Parlava per immagini. Grace vide scorrere davanti ai suoi occhi Poseidon e Atlantide, San Francisco, il diner, Gabriel, il Kraken, vide l’Oceano e la terra, le città e le persone, Chuck e Devereaux, vide il cielo e le nuvole, e la Spiaggia Bianca.
Se avesse ceduto, tutto sarebbe andato perso, tutto quello per cui ogni atomo del suo corpo, ogni particella intangibile della sua anima, era nata, e aveva vissuto. “Resisti”, sembrava dire quella voce, “combatti, non cedere. Non sei sola, non lo sei mai stata. Tutto esisteva prima di te, tutto continuerà ad esistere con te. Non arrenderti”.
Grace chiuse gli occhi, e strinse i denti. Il campo di forza tremò leggermente. Il rumore della Lama di Gabriel sembrava più vicino, ora. Non poteva cedere. E non per il mondo, non per l’Oceano, per la Spiaggia Bianca e nemmeno per Gabriel. Non poteva cedere per se stessa, perché tutte quelle cose non avrebbero avuto senso, senza di lei.
Gemette e urlò, stringendo i denti fino a farsi male, le unghie che affondavano nella carne dei palmi, e le vene del collo e sulle tempie sembravano sul punto di esplodere. Provava dolore in ogni muscolo e tendine, gocce di sudore le imperlavano la fronte, scendendo lungo il viso, le ossa erano sul punto di spezzarsi, mentre ogni molecola del suo essere dava energia al campo di forza, che tremava e oscillava, sotto la pressione delle rocce.
Si sentì morire più e più volte, la testa piena di quella Voce, dolce ma forte e imperiosa. E le immagini iniziavano a vorticare nel suo cervello come un caleidoscopio folle.
Si sentì morire, ma non cedette. E quando un lampo di luce, e un rumore sordo di rocce scagliate via con forza, le balenarono davanti agli occhi e nelle orecchie, e vide il volto del suo Arcangelo, stravolto dall’assoluta gioia di vederla ancora, ancora viva, un sorriso le piegò le labbra, e mormorò il nome di Gabriel, prima di perdere i sensi.

- Devi portarla in superficie - disse Raphael, poggiando una mano sulla spalla di Gabe - ora ha bisogno di Aria, e di Luce.
Gabriel annuì, e abbracciò l’Ondina, stringendola come fosse la cosa più preziosa del mondo.
- Grazie Raphael... - mormorò - senza di te, e Michael...
L’Arcangelo Maggiore sorrise, battendogli ancora la mano sulla spalla - Vai ora, lei ha bisogno d’Aria e di Luce.
Gabe ricambiò il sorriso, e si lanciò verso l’altro, stringendo Grace, ancora priva di sensi.
Salirono veloci lungo le correnti, mentre la brillantezza del sole, che illuminava di raggi diafani la superficie dell’Oceano, rifrangendosi in profondità, si avvicinava, simile all’Occhio del Capo, che li attendeva, per dar loro il bentornato.
Salirono quasi senza peso, e mentre la pressione diminuiva, e la luce aumentava, Grace si svegliò, vide quella luce sopra di lei, sentì l’abbraccio forte e familiare dell’Arcangelo stringerla e proteggerla, lo guardò negli occhi, e comprese di essere viva.
Infine emersero, rompendo l’acqua di superficie come una barriera troppo tenue per tenerli ancora a lungo imprigionati, e furono nella Luce, e nell’Aria.
La Luce dorata e l’Aria piena di profumi e armonia della Spiaggia Bianca. Si guardarono intorno, sorpresi, poi si fissarono, mentre si dirigevano lentamente, trasportati dal placido moto delle onde, l’una nelle braccia dell’altro, verso la battigia.
Quando i loro piedi materici toccarono per la prima volta la sabbia lattea della Spiaggia, dove tante volte le loro essenze spirituali si erano incontrate, si presero per mano, e si sentirono a casa.

05/02/10

Ali d’Acqua XIV

Water Wings XVIIa

I Messaggeri

- Guarda che roba. L’ho sempre detto che le scienze esatte non sono il tuo forte!
Michael, a braccia incrociate, ridacchiava, spostando lo sguardo da una bolla all’altra: quella che conteneva la Spada di Luce, il cui bagliore sembrava continuamente sul punto di spegnersi, ma sempre tornava a brillare, di luminosità diafana; quella dentro la quale Gabriel era imprigionato, apparentemente privo di sensi. Alle prime parole dell’uomo vestito di nero, però, l’Arcangelo sollevò lo sguardo, e lo fissò in tralice, socchiudendo gli occhi, attraverso l’opacità della bolla.
- Michael..!?
- Dolce risveglio, fratellino. Che ci fai lì dentro? - Gabriel non si mosse, e non rispose, -E come mai la tua Spada è laggiù?- chiese, indicando la seconda bolla.
- Il Leviatano... - mormorò Gabe, che si sentiva svuotato di ogni energia, e anche rispondere richiedeva un’enorme fatica.
- Ha fatto un bel casino, in città, si... dovresti vedere che roba! Ma non hai risposto alla mia domanda. Perché non hai la Spada con te?
- Lui... me l’ha strappata via e...
Michael si avvicinò alla bolla che conteneva l’Arma divina, e toccò la superficie traslucida - ”Strappata via”, che assurdità! Tanto valeva dire che ti aveva strappato via il cuore. Questa - disse, indicando la Lama dorata - è parte di te, Gabe. L’hai dimenticato? Non è tua. E’ te. Come il tuo cuore, appunto... anche se qui ci sarebbe da filosofeggiare un po’. Come sta Gracelyn?
L’Arcangelo lo fissò per alcuni istanti, mentre una scia di pensieri gli attraversava la mente. Ricordi, intuizioni, concetti assimilati e apparentemente dimenticati, ma invece radicati profondamente nelle pieghe del suo Io. Infine comprese. Chiuse gli occhi e si concentrò. La Spada, nella bolla di energia, iniziò a brillare sempre più forte, una luce che si rifrangeva sulle pareti curve, e ritornava all’interno della Lama, poi, con un’esplosione di luce accecante, l’Arma svanì, e si materializzò quasi istantaneamente nella mano destra di Gabriel.
- Alla buon’ora! - ridacchiò Michael - Fisica elementare, fratellino. Ora esci da quella palla di muco infernale!
Gabriel sorrise, e con un rapido colpo di Lama, fendette la superficie della sfera, che parve esplodere, o svanire in un lampo giallo, lasciandolo libero di poggiare di nuovo i piedi a terra. Si stiracchiò, aprì il palmo della mano, e la Spada ritornò a fluire dentro il suo essere, con una pioggia di scintille dorate.
- E ora? - chiese.
- Hai una missione da compiere, no? Anzi, due. Liberare la tua Ondina, e insieme spaccare il culo a quei due mostriciattoli venuti dall’Inferno.
- Si, ma... non ho poteri contro il Leviatano... e anche Gracelyn... il Kraken sembra inibire le sue capacità telepatiche, noi...
Michael sollevò l’indice, e aggrottò le sopracciglia. I suoi occhi azzurri brillarono - Proprietà basilare dell’addizione: la somma non cambia se cambi...
- ...l’ordine dei fattori! - esclamò Gabe, sorridendo - Come ho fatto a non pensarci!
Michael gli batté una mano sulla spalla - Tu sei quello bravo in Storia, no? Io me la sono sempre cavata meglio nelle scienze, a scuola.
Gabe gli lanciò un’occhiata di traverso - Già, ma ero io che ti passavo i compiti in classe, se non ricordo male.
- Sono pigro, lo sai. Chissà, forse per questo il Capo sceglie sempre te, per le missioni divertenti. Andiamo ora, il volo fino all’Australia è lungo.
Michael sorrise ancora una volta, poi dispiegò le grandi ali bianche. Gabriel si concentrò, e una luminescenza diafana iniziò a scintillare sulle sue spalle. I due fratelli si alzarono nell’aria piena di polvere, che iniziava finalmente a posarsi.

Chuck fissava il punto in cui doveva trovarsi Sidney, laggiù, oltre l’orizzonte. Nel mezzo dell’Oceano era difficile avere riferimenti precisi, senza strumenti, ma le sue facoltà mentali gli rimandavano eco di urla, lamenti, agitazione, tutte concentrate in quel punto. Cercava di non pensare emozionalmente, di elaborare solo i dati, per non impazzire. Aveva perso il contatto con Grace da un paio d’ore ormai, e disperava la sua amica fosse ancora viva. Non sapeva cosa fare, se dirigere la barca verso la costa, cercare di contattare Deveraux, attendere lì, sperando succedesse qualcosa. La domanda muta che ogni tanto affiorava sulle sue labbra, veniva ricacciata a forza nei meandri del cervello.
- La stai cercando con questa... - una voce, dietro di lui. Chuck si voltò, fissando la figura alta ed elegante, oltre il bordo della barca, che rimaneva in piedi sull’Oceano, quasi sospesa sopra la superficie dell’acqua. L’uomo, di un’età imprecisata, ma non più giovanissimo, si batteva l’indice contro la tempia - Dovresti cercarla con questo - concluse, poggiando la mano sul cuore.
Chuck non chiese nulla. Da quando conosceva l’Ondina si era abituato a strani eventi, e ancor più strane apparizioni. Sentiva solo che di quell’uomo poteva fidarsi.
La figura alta e potente si avvicinò, camminando sull’acqua, poi si sollevò lentamente, e con una leggerezza innaturale, si posò sul ponte della barca, di fronte a lui. Gli poggiò la mano sul petto e disse:
- Lei è viva, e ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Chiamala. Svegliala.
- Si, ma... poi? Cosa posso fare poi? Lei è laggiù, tremila metri sotto l’Oceano. Io...
- A questo - lo interruppe l’uomo - ci ha già pensato Qualcun altro. Chiamala, Chuck, svegliala. Al resto provvederanno i rinforzi, che stanno già arrivando.
Raphael sollevò la testa, guardando a est un punto del cielo, dove le nuvole iniziavano a diradarsi, e la luce del sole filtrava, rifratta in mille raggi brillanti, e sorrise.

23/01/10

Ali d’Acqua XII

Spiaggia BN

La spiaggia deserta

di Robi & Samy California

Melville planò con grazia sulla battigia, saltellando una, due volte, finché l’inerzia dell’atterraggio non fu assorbita dalla sabbia, quindi scosse le piume della testa e si lisciò le ali, con rapidi colpi di becco finché, soddisfatto, si fermò a osservare la spiaggia, e il mare di fronte a lui.
Gonfiò il piumaggio, faceva fresco a quell’ora, che non era ancora sera ma non era nemmeno più giorno, e l’immobilità dell’aria, la piatta superficie dell’Oceano, e la distesa di sabbia bianca ai suoi lati, che sembrava infinita, contribuivano ad accrescere quella sensazione di freddo, che iniziava a insinuarsi fra le sue ossa cave. Quella era l’ora in cui, di solito, arrivavano i suoi amici, i due buffi umani che si tenevano sempre per mano, e sedevano sul divano rosso a ridosso del bagnasciuga, emettendo strani suoni che sembravano una sorta di linguaggio, ma che Melville non riusciva a comprendere. Solo che, stasera, i suoi amici non c’erano, e il gabbiano intuiva forse non sarebbero venuti.
Melville aveva sempre abitato la spiaggia, che esisteva da sempre, a quanto ricordava, come da sempre c’era lui, lì, ad osservarla formarsi. Quando lui arrivò, la spiaggia era un deserto di immagini sfocate, fatto solo di rocce, gelide come l’acqua del mare che le circondava. L’alito caldo del vento che nasceva dalle ali dell’Arcangelo ancora non c’era, come non c’erano, a formare le onde, le correnti che la Figlia dell’Oceano alzava fino al cielo.
Arrivarono lentamente, e ai primi soffi di vento le rocce lasciarono spazio a un lembo di sabbia bianca, mettendosi ai lati, per far sì che le onde modellassero la spiaggia, in attesa che i suoi amici, finalmente, arrivassero e ne prendessero possesso. Perché era stata creata a loro immagine, la spiaggia, prima ancora che loro fossero creati, e per loro, e loro soltanto, esisteva.
Li vide, un giorno di inizio estate, che si scambiavano sguardi e sorrisi tenendosi le mani, seduti su una di quelle rocce. C’erano ancora le ali sulla schiena di Lui, e la coda con la pinna, al posto delle gambe di Lei. Era l’inizio di una magia, che presto divenne amore, un amore che li avrebbe portati a rinunciare a parte della loro natura eccezionale, ma gli avrebbe donato la possibilità di vivere l’Uno per l’Altra. E quella spiaggia sarebbe esistita finché loro sarebbero stati in grado di raggiungerla.
Il che rendeva Melville in qualche modo fiducioso: anche se stasera i suoi amici non si erano visti, questo non significava non sarebbero più venuti, sulla spiaggia bianca. Forse erano impegnati altrove, ma la spiaggia esisteva ancora. Ed era la loro spiaggia. Altri posti simili, o completamente differenti, esistevano da altre parti, per altri amici, di altri gabbiani -Melville tendeva a rapportare a sé ogni forma di vita, che non fossero i suoi amici, per questo ragionava così - lo sapeva, ma quella spiaggia bianca era solo per quei due che si tenevano per mano, sedendo sul divano rosso a ridosso del mare.
Melville spiccò un salto, e volò fino al divano, dove si adagiò, mettendosi comodo. Aveva visto formarsi quel divano, lentamente lo aveva osservato sorgere dalla sabbia, in attesa che i suoi amici potessero infine sedervi, e aveva visto il mare gonfiarsi, e il cielo coprirsi di nuvole chiare, mentre quel momento si avvicinava. Avrebbe custodito lui quel posto, finché i suoi amici non fossero tornati, si sarebbe seduto lui sul divano rosso, aspettando il loro ritorno.
Mentre seguiva il filo dei suoi pensieri, Melville sentì, o meglio, percepì, un cambiamento nell’aria. Si era alzato un soffio di vento, caldo, che proveniva dalla spiaggia, diretto verso la superficie del mare, che iniziava a incresparsi. Il vento correva forte sopra di lui, portando con sé le ombre veloci provenienti dalla spiaggia, e alzando lo sguardo, il gabbiano vide che le nuvole si stavano addensando, ad est, e lentamente si abbassavano sull’Oceano. Il mare si agitava sotto il violento soffio del vento, quasi volesse accelerare il moto delle onde, aumentandone il volume, l’altezza e l’intensità.
Pareva quasi che onde e nuvole cercassero di toccarsi: un contatto, un abbraccio.
Melville gonfiò le piume, bianche come la sabbia della spiaggia, e sorrise. Intese quel vento come un richiamo da parte dei suoi amici: non erano lì, ma si cercavano, onde e nuvole si compattavano abbracciandosi nello stesso modo in cui lui aveva tante volte visto fare l’Arcangelo e l’Ondina.
I suoi amici sarebbero tornati, ne era sicuro…
Scosse le ali sorridendo, e le schiuse, alzandosi in volo verso l’orizzonte.

06/01/10

Ali d’Acqua X – Parte Prima

Water Wings XII

La Fine del Domani?

Parte Prima: la caduta dell’Arcangelo

Rivedere i particolari del disastro spezzettati in fotografie dai colori vividi e netti, creava il necessario distacco per poterne discutere, e di questo Gabe fu grato alla sua fedele Nikon.
Era in piedi, con una mano appoggiata sulla scrivania del Capo, e mentre parlava con lui, l’occhio cadeva ora a una ora all’altra delle fotografie che aveva appena finito di stampare. Steve invece fissava quelle immagini, quasi ipnotizzato. In tanti anni di mestiere non aveva mai visto una rappresentazione dell’orrore così iperrealista.
- Che dicono le autorità? - chiese, giocherellando con la stilografica, che batteva ritmicamente sul piano del tavolo in vetro.
- Brancolano nel buio - rispose Gabe - tanto per usare una frase che, in questo caso, mi pare azzeccatissima.
Steve sollevò lo sguardo dalle foto e fissò il fotografo. Gabe ricambiò lo sguardo.
- Lascia stare – continuò - piuttosto, ci sono dati precisi sul numero delle vittime, l’entità del disastro?
Il Capo volse lo sguardo in direzione della finestra alla sua sinistra, di là dalla quale San Francisco si stagliava netta, nella luce del primo pomeriggio - Non ancora, ma ci aggiriamo sulle 350...
- Mio Capo... - mormorò Gabriel. Steve lo guardò di nuovo.
- Che hai detto?
- Nulla - rispose l’Arcangelo, mordendosi il labbro, per essersi lasciato sfuggire quell’esclamazione - Cosa facciamo con queste?- continuò, indicando le foto.
- Direi... - iniziò Steve, interrompendosi immediatamente, mentre una sorda vibrazione che aumentava sempre di più, attraversava il pavimento e i muri della stanza. Gabe si appoggiò al muro, e la vibrazione gli trapassò la schiena, sempre più forte, mentre tutto nell’ufficio sembrava tremare, e sdoppiarsi. Steve aveva gli occhi spalancati e le mani strette sul bordo della scrivania. Poi, come era iniziata, la vibrazione finì, e i due si fissarono negli occhi.
- Una piccola scossa di terremoto - mormorò Steve, sospirando - la solita Frisco...
- Già - disse Gabe, imitando un’ombra di sorriso. Perché sapeva che era un’altra, la reale causa di quella vibrazione: il Leviatano era entrato in azione.

Volò con tutta la velocità che le sue ali divine permettevano, e in pochi secondi raggiunse il centro della città. E lo vide. Il Leviatano rimaneva nella propria dimensione, leggermente sfalsata rispetto a quella del piano di realtà che conteneva la Terra. A vederlo così -e solo gli occhi dell’Arcangelo potevano scorgere i diversi piani dimensionali contemporaneamente- sembrava una dissolvenza incrociata di immagini: due sequenze di filmati sovrapposte di cui una, la città con le sue frenetiche attività, il traffico, la gente, gli edifici, più nitida, e contrastata; l’altra, la massa grigiastra e viscida del Leviatano, con le bolle di antimateria che pulsavano come bubboni sul punto di esplodere, trasparente ed eterea.
Gabriel si era posto sul limite dei due piani di realtà, e anche lui rimaneva invisibile agli occhi indiscreti dei Sanfranciscani, e di ogni apparato tecnologico in grado di riprendere la scena. C’era poco tempo da perdere, e lo sapeva: il Leviatano stava materializzandosi nella dimensione terrena, con le sue bolle letali in procinto di annullare istantaneamente pezzi di San Francisco, ripetendo la scena che aveva fotografato, qualche ora prima, ma in una più vasta area della città.
Senza pensarci, materializzò la Spada di Luce, che brillò diafana nella sua mano, e si preparò ad attaccare. Pensò a Grace, e si chiese dove fosse, e cosa stesse facendo in quel momento. Il loro legame telepatico gli riportava sensazioni contrastanti: risoluzione, decisione, paura. L’Ondina stava probabilmente approntando la sua linea di difesa contro il Kraken. Ma più di questo, Gabriel nn riuscì a sentire.
Si lanciò contro la massa grigia del Leviatano, che si muoveva bulbosa e lenta, fra i due piani di realtà, e affondò la spada al centro della Cosa, dove secondo logica dovevano esserci organi vitali. Ma il Leviatano non era un essere vivente, non nel senso canonico della parola, e l’attacco dell’Arcangelo non sortì altro effetto, se non quello di aumentare la massa del Mostro.
Gabriel si allontanò di qualche metro, fissando quell’oscenità diventare più grande, le bolle di antimateria che rilucevano di un lucore giallastro, pulsando come bozzoli contenenti forme di vita inimmaginabili. Era quasi affascinato da quella visione, ipnotizzato, un senso di nausea che sfociava in angoli nascosti della sua mente, quelli che, nonostante la sua natura Divina, non riuscivano a comprendere la piena ed esatta natura del Male.
Quell’esitazione di un momento fu la sua fine. Il Leviatano lanciò una bolla di energia, che avvolse Gabriel, senza dargli il tempo di reagire, mentre un’altra bolla imprigionava la Spada di Luce, allontanandola da lui. L’Arcangelo fu attraversato da onde di puro dolore, mentre la bolla diventava solida, chiudendosi intorno a lui. Per un attimo fu come se il fuoco dell’Inferno incendiasse ogni atomo del suo essere semidivino, e in quell’attimo il Messaggero della Luce credette che il Capo, quello che ha visto tutto, e tutto previsto, lo avesse abbandonato, o ingannato, o peggio.
Per un attimo. Perché subito la coscienza di sé abbandonò l’Arcangelo, e Gabriel si accasciò all’interno della sfera, come una marionetta priva di vita a cui avessero tagliato i fili.
Da qualche parte in Paradiso, una Luce si spense.

25/12/09

Ali d’Acqua IX

 Flashback: Il Cancello d’Oro

- Perché sei qui? - chiese l’Arcangelo all’Ondina, che lo fissava coi suoi occhi verde intenso, rimanendo a braccia conserte, parzialmente in ombra sotto l’arcata del Golden Gate Bridge.
- E tu? Anche tu non è un caso sia stato mandato... - disse lei, mentre giocherellava col piede, smuovendo la ghiaia che ricopriva il terreno a ridosso del ponte. A Gabe parve stesse scrivendo qualcosa, o disegnando figure, ma non ne era sicuro, e distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi su quegli occhi di smeraldo, profondi ed enigmatici. Non ne aveva mai visti così, nelle Alte Sfere nessuno aveva gli occhi verdi.
- Una missione, un compito... qualcosa del genere - rispose.
- Lo stesso per me.
- Da dove vieni?
La ragazza volse la testa verso la Baia, di là dal ponte, e oltre, indicando con la mano l’Oceano, che si stendeva sotto una coltre di nebbia -la consueta, soffice nebbia color arancio delle albe a San Francisco.
- Credevo fossi di Los Angeles! - scherzò Gabriel, che aveva capito. Era una Figlia di Atlantide. Una delle più belle, probabilmente, si sorprese a pensare. Gracelyn rise a quella battuta.
- E io credevo invece quel posto fosse casa tua, la città degli Angeli... - sorrise. Aveva capito anche lei.
- Shhhh... - Gabe le intimò silenzio, portandosi l’indice alla bocca. C’erano segreti che era meglio non rivelare. Il Leviatano poteva essere in ascolto. E anche il Kraken, a questo punto, perché la presenza dell’Ondina, considerò Gabriel, poteva significare solo una cosa: che la minaccia, stavolta, era doppia. I Servi delle Tenebre stavano per scatenare l’inferno sulla Terra, su ogni fronte, e come il Capo aveva mandato lui, dalle Alte Sfere, così le profondità dell’Oceano si erano aperte, e una delle Figlie dell’Acqua era salita in superficie, e ora lo stava guardando, giocherellando con la punta del piede -o forse scrivendo, o disegnando qualcosa- col ghiaino del Golden Gate Park.
Era la prima volta che un Arcangelo incontrava un’Ondina, e se spesso i Signori della Luce si erano alleati, lo avevano fatto ad alti livelli, collaborando tra loro, e agendo sempre per vie misteriose, difficilmente comprensibili ai loro sottoposti.
- Pensi che il nostro incontro sia un caso? - chiese Gabe, muovendo un passo verso di lei.
Grace si ritrasse istintivamente, poi si fermò, e lasciò che l’Arcangelo si avvicinasse. Quando fu a meno di un metro da lei, rispose:
- Penso sia un miracolo - disse - quello che può salvare il mondo... quello che... - abbassò lo sguardo a terra, e cancello col piede il disegno -o la frase- che aveva tracciato sulla ghiaia.
Gabriel le prese le mani. Tremavano leggermente, ma strinsero le sue, forte, come una promessa silenziosa.
- ...Quello che può salvare il mondo, quello che può dare un senso al mio mondo... - disse l’Arcangelo.
- Quello che sta già dando un senso al mio - disse l’Ondina.
Continuarono a fissarsi negli occhi, in silenzio, per lunghi minuti, mentre l’alba diventava il mattino, e la nebbia si alzava, sopra la Baia, lasciando intravedere l’Oceano, e pigre nuvole in lontananza, che lambivano l’acqua, e sembravano baciare le onde.

Da qualche parte, fra la Città degli Angeli e San Francisco, l’acqua si ritrasse, rivelando una piccola striscia di Sabbia Bianca.

- Era previsto si innamorassero? - chiese il Signore di Atlantide, battendo lo scettro contro lo schermo incrostato di corallo, che come sempre funzionava quando pareva a lui, nemmeno fosse dotato di propria volontà.
- Non lo so - rispose il Capo delle Alte Sfere, con una risatina sottile.
- Si, certo - continuò il Re dei Flutti, sbuffando - Tu non lo sai... Tu che non sai qualcosa...
- Mettiamola così - rispose il Capo - Gabriel e Gracelyn sono le controparti Luminose di Leviatano e Kraken. Il loro amore potrà unirli ancora di più, nella battaglia, garantendo maggiori probabilità alla vittoria finale.
- Tu parli sempre per enigmi... ce la faranno quei ragazzi? - Il Signore di Atlantide si lisciava la lunga barba, pensoso.
- Sei preoccupato per tua figlia, Poseidon?
- Si, certo, ovvio! Che domanda! Sarei un incosciente se...
Il Capo sorrise, e lo schermo, per una volta, stabilizzò l’immagine, che parve diventare tridimensionale, nella sala comandi di Atlantide.
- Non preoccuparti - disse il Capo delle Alte Sfere - sono in gamba quei due ragazzi. I migliori. E questo, lo so per certo, credimi.
- Un atto di fede?
- Una promessa da Dio a dio.

 Buon Natale a Tutti i Mondi

19/12/09

Ali d’Acqua VIII

Water Wings 9

La Luce e le Tenebre

di Robi e Samy California

Fissava l’orizzonte, quella linea indefinita che era mare, ma era anche cielo, laggiù, in fondo allo spazio senza confini che circondava la Spiaggia Bianca, sul quale la nuvola, che era anche uno scoglio, svettava, a pochi metri dal divano rosso che conservava ricordi e promesse.
Fissava l’orizzonte, Gracelyn, con il vento a sussurrarle canzoni fra i capelli, e la lunga gonna verde che accarezzava la nuda roccia ai suoi piedi.
Era serena, come sempre quando si trovava in quella dimensione fra sogno e materia, ma un’ombra di inquietudine le ombreggiava la linea perfetta delle sopracciglia, sopra gli occhi color smeraldo, dentro cui si riflettevano le prime scintille dell’aurora. L’incontro col Kraken, pochi istanti prima, secoli secondo le percezioni di quella dimensione sospesa, l’aveva turbata.

Una vaga luminescenza, che pareva scaturire direttamente dalla roccia ai suoi piedi, l’avvolse, lentamente, mentre saliva e cresceva in dimensioni, circondandola, seguendo la linea del suo corpo, addensandosi all’altezza del petto e delle braccia, formando una figura che ricordava delle ali di luce diafana.
La figura si fece più definita, le ali la cinsero in un abbraccio dolce e pieno di calore, e Gracelyn salutò Gabriel, con un bacio pieno di mille parole non dette.

- Ciao amore - disse l’Ondina.
Gabe rispose al saluto con un sorriso pieno di gioia trattenuta. Qualcosa, evidentemente, preoccupava anche l’Arcangelo. Grace l’aveva percepito, ancora prima di chiamarlo nella Spiaggia Bianca, grazie al loro legame telepatico, e immaginava quale fosse la causa di quell’inquietudine.
- L’hai visto? - chiese Gabe.
- Si.
Gabriel annuì, prendendola per mano, e accompagnandola sul divano, dove si sedettero. Grecelyn appoggiò la testa sulla spalla del suo Angelo, cingendolo col braccio.
- Ho sentito uno strappo nel nostro legame - riprese Gabriel - e per un momento...
- Quando quel mostro ha aperto il suo occhio - lo interruppe lei, premurosamente - ho perso i miei poteri telepatici.
- Si, l’ho pensato subito... quando poi il legame si è stabilizzato di nuovo... grazie al Capo...
Grace rise, con la sua voce d’argento piena di sfumature - Dici sempre così? “Grazie al Capo”? - riusciva sempre, con una battuta, a tranquillizzarlo.
Gabe sorrise a sua volta - Deformazione professionale.
Rimasero per un attimo in silenzio, poi Gabe le chiese:
- Cosa ne pensi? Voglio dire? Perché ora? Perché quest’alleanza fra Kraken e Leviatano? E perché noi? Perché tocca a noi due affrontarli?

A quella domanda Grace si sollevò dal petto di Gabe, poggiando il gomito sul divano, e fissandolo con aria preoccupata.
- Kraken e Leviatano... – disse pensosa - ...credo che la loro alleanza arrivi da qualcosa di più grande. E’ il loro Capo che li ha messi insieme, Gabe, perché sono i due esseri più malefici e distruttivi che ha creato. Ha fatto proprio come hanno fatto i nostri Capi, si sono alleati unendo le loro forze, che poi è un unica forza, quella del Bene. Non so perché abbiano scelto proprio noi, forse perché siamo i più tenaci, il male non ci ha mai spaventati e non abbiamo mai mollato, finché non abbiamo portato a conclusione le nostre missioni...
Gabe vedeva nei suoi occhi tutto lo sgomento che l’Ondina aveva provato, alla vista del Kraken e quello che il Mostro aveva cominciato a fare, in fondo all’oceano, e la guardava con tenerezza, come se volesse dirle che a proteggerla ci sarebbe stato lui, col suo amore, oltre che con la sua spada. Ma non poteva, non quella volta. Quella volta, lo sapeva benissimo anche lui, la situazione era diversa da tutte le altre. Non disse niente, e la attirò a sé, stringendola.
- Che succederà se stavolta non riusciremo a sconfiggerli, Gabe? Il Male ha scelto il momento adatto per non fallire nel suo intento. Il mondo cade già a pezzi da solo, basta scuoterlo un po’ e crollerà del tutto. Dare il colpo di grazia adesso è più facile che mai...
- Ce la faremo amore – le disse, dandole un bacio sulla fronte
– Noi siamo i buoni, e i buoni vincono sempre, alla fine…
Grace alzò gli occhi e gli sorrise; pensò che Gabe fosse incredibile, riusciva sempre a rassicurarla e a darle la forza necessaria per fronteggiare le difficoltà, anche quando avvertiva le stesse paure e le stesse incertezze che turbavano lei.
- Sì amore, ce la faremo. Perché a lottare siamo noi due, noi due insieme. E questo basterà.
Grace gli diede un bacio e sorrise ancora, quelle poche parole di Gabe l’avevano resa fiduciosa, e i dubbi e le paure che aveva avuto alla vista del Kraken erano spariti. Perché con lei c’era Gabriel, e insieme avrebbero trovato il modo di vincere anche questa ennesima battaglia, che probabilmente era la più difficile di sempre.
Si strinse nel dolce abbraccio del suo Arcangelo, e chiudendo gli occhi si lasciò cullare dai battiti del suo cuore.

11/12/09

California Baby





 

Quando sarà grande, saprà di essere stato concepito per Amore.

Quando lo saprà, capirà perché, di notte, si sente il vento leggero accarezzare le foglie degli alberi, e perché queste rispondono con teneri bisbigli, che sembra dicano: "Benvenuto. Resta quanto vuoi, sorridi quanto puoi, credi più che puoi.

Non sarà mai abbastanza.

Ama con tutto te stesso chi ti ama.

Non sarà mai troppo".

 

Roberto Sonaglia

10/12/09

Ali d’Acqua VII

Water Wings 8

Il Leviatano

Dopo aver scattato le ultime foto, Gabriel si allontanò dalla scena del disastro, diretto all’auto. Mentre riponeva l’attrezzatura, rifletté sul senso di quello che aveva visto: la prima, palese manifestazione del potere del Leviatano, talmente palese, pensò, da non potere essere fraintesa. Era un messaggio, chiaro, limpido e a tutto volume, diretto a lui, e attraverso lui, ai Piani Alti. Diceva, in sostanza: “eccomi, sono sveglio, e sono qui. A voi la prossima mossa!”, seguito da una risata sinistra che Gabe poteva sentire chiaramente risuonare fra i pezzi di carne maciullata, e i brandelli di edifici rimasti, dopo il passaggio del Mostro.
Da quando aveva accettato la sua missione terrena, ne aveva viste di scene da far rivoltare lo stomaco: attentati, massacri seriali, incidenti di colossali proporzioni, ma in quello che si era appena lasciato alle spalle c’era una pianificazione, una malvagità talmente sottile, che anche un Arcangelo poteva, per un momento, sentire il bisogno di appoggiarsi a una parete, e chiudere gli occhi, in attesa che il senso di nausea passasse.
Doveva a questo punto rendersi conto in maniera più precisa, di quanto la minaccia del Leviatano fosse prossima al suo pieno manifestarsi, e quanto il Leviatano stesso fosse vicino.
Chiuse la portiera dell’auto e, a piedi, si diresse verso un vicolo abbastanza stretto, scuro e appartato, perché potesse dispiegare i suoi poteri senza che sguardi indiscreti spiassero le sue mosse. Con un ultima occhiata intorno, richiamò a sé la Luce delle Sfere.
Lentamente una luminosità diafana lo circondò, localizzandosi dietro le sue spalle, e rimanendo in sospensione, come una nebbia vagamente fluorescente, che formava un vago disegno di ali. L’ombra di quelle a cui, accettando la missione, e l’amore di Gracelyn, aveva rinunciato, allo stesso modo in cui l’Ondina, contraccambiando quell’amore, si era metamorfizzata in una creatura con due gambe, al posto della pinna caudale.
Una volta che la luminescenza rimase stabile, dietro le sue spalle, Gabriel si alzò in volo, raggiungendo in breve un’altezza sufficiente per vedere, sotto di sé, tutta San Francisco.
Nel suo cielo, a poche centinaia di metri dalle nuvole, Gabe si sentiva a casa, pienamente conscio che quella consapevolezza proveniva da molto più alto, dalla Grazia che scorreva per sempre nelle sue vene, ed era un suo retaggio naturale, e anche se non avrebbe più ammirato la Luce di Dio direttamente dai Suoi occhi, lo sguardo di Grace compensava totalmente, con le sue verdi scintille di pura emozione, quella perdita.
Gabriel sorrise, anche quegli occhi erano casa sua, ormai, la casa più bella avesse mai avuto.
Ma l’amore doveva aspettare, ora. C’era una questione da prendere in considerazione, coinvolgente il destino del Pianeta che era stato chiamato a proteggere.
Abbassò lo sguardo verso quel reticolo di linee intersecate color grigio chiaro, con chiazze bianche, verdi e azzurre, che era San Francisco vista da 5.000 metri d’altezza, in verticale. I suoi occhi riuscivano a scorgere il movimento brulicante di mezzi meccanici e organismi biologici che riempiva le strade. Da lassù poteva sembrare una simulazione virtuale di un mondo, qualcosa che ancora non era stato attuato, se non nella mente di un creatore un po’ folle -uno che amava il caos, ma aveva un disegno preciso verso cui convogliare l’Entropia - il che non era poi molto distante dal vero.
Queste considerazioni occuparono la mente dell’Arcangelo per lunghi istanti, e Gabriel si meravigliava sempre di quanto, pur perfettamente congegnato, quel mondo era dotato di un libero arbitrio, talvolta utilizzato in maniera obliqua, ma pur sempre il dono più grande che ogni struttura dell’universo potesse ricevere. Molti dei settanta pianeti del multiverso erano governati dalla fredda causalità, o dalla stasi.
Interrompendo il flusso dei pensieri, Gabriel si concentrò per vedere oltre l’apparenza, spogliando il panorama cittadino che si stendeva sotto di lui dagli orpelli superficiali. Nei fumetti potevano chiamare questa capacità “vista a raggi X”, o qualcosa di altrettanto pittoresco, ma non era così che funzionava. In realtà, la vista di Gabriel penetrava dentro la struttura stessa della materia, riuscendo a mettere a nudo qualunque cosa stesse disconnettendone il tessuto.
E quella cosa, nella fattispecie, era il Leviatano.

Si stendeva sotto la città, coi suoi tentacoli proteiformi, continuamente cangianti, pieni di bolle d’antimateria pronte ad essere convogliate nella realtà sovrastante, asportandola completamente, com’era appena successo, e nel modo che le foto che aveva scattato avrebbero reso ancor più sinistramente chiaro, una volta sviluppate.
Sembrava dormire, il Mostro, ma Gabriel sapeva che non era così. Piuttosto attendeva un segnale, qualcosa che gli desse il via, e lo incitasse a liberare ancora il suo potere distruttivo contro quella città, quel pianeta. Un fulgore bianco scintillò per un attimo nella mano destra dell’Arcangelo, prontamente spento con un piccolo sforzo di volontà da Gabe. Non era il momento per far brillare la Spada di Luce. Quel tempo sarebbe venuto, ma non ora, non ancora.
Il Leviatano era perfettamente immobile, e Gabriel ne ammirava, in qualche modo affascinato, la perfetta simmetria non euclidea dei tentacoli, della testa allungata e terminante a punta, coi tre occhi chiusi da palpebre seriche e umide, di colore giallastro. Pensava a come sarebbe stato facile, ora, piombare giù in picchiata, attraversare il reticolo della realtà dove il Mostro si era innestato, e colpirlo nel terzo occhio con un colpo perfetto della sua spada divina. Ma non era il momento, e anzi, quello rischiava di rovinare tutto, perché i poteri antimaterici del Leviatano sarebbero stati trasferiti al Kraken, con effetti devastanti.
Fu proprio in quel momento che percepì uno strappo nel legame telepatico che costantemente lo teneva in empatia con Gracelyn. Come se... Gabriel scartò quell’ipotesi, più per l’orrore insito nella possibilità che per reale convinzione. L’Ondina non poteva essere... non era possibile che... per lunghi istanti i pensieri dell’Arcangelo innamorato vagarono, privi di coordinate, mentre la brillantezza delle ali diventava più forte, e a tratti la Luce divina lampeggiava nel suo palmo, quasi fuori controllo.
Finché, con un sospiro di sollievo, accolse il ritorno del segnale empatico, che ronzò come il canto di un’allodola nella sua mente. Grace era viva, grazie al Capo!
Ma qualcosa doveva esserle successo, in quei brevi momenti, probabilmente aveva perso i suoi poteri telepatici, e la causa poteva essere una sola: l’Ondina si era trovata a tu per tu col Kraken.
Dovevano parlare. E subito anche. Non aveva finito il pensiero, che udì il familiare richiamo di Gracelyn, simile a un canto, che preannunciava un incontro alla Spiaggia Bianca, dove lei lo stava già aspettando, e dove lui, chiudendo gli occhi, e aprendo il varco dimensionale, si diresse, senza perdere un solo istante.

14/11/09

Ali d’Acqua V

Water Wings 06
La Spiaggia Bianca
di
Robi & Samy California

La Spiaggia Bianca era sempre esistita, con le sue nuvole che erano scogli, e l’Oceano, brillante di riflessi smeraldo, fino all’orizzonte. Era tangibile e materica, anche se non era reale. Ma al tempo stesso lo era. Esisteva in una dimensione misurabile unicamente coi parametri del sogno, e solo un evento paragonabile all’incontro di un Angelo e un’Ondina poteva aprire il continuum spazio-temporale che la conteneva, e permettere l’accesso alle immense distese di sabbia e acqua di quel Mondo.
La prima volta che Gabriel poté ammirarne la perfetta armonia di forme, colori, odori, calore e luce, si domandò se, per caso, la sua missione fosse stata revocata, e il Capo l’avesse richiamato a sé, nelle Alte Sfere. Ma lassù non c’era acqua, non c’erano nuvole e sabbia, e soprattutto non c’era quel divano rosso sospeso sopra il Pianeta Terra, dove in quel momento sedeva, con le ginocchia rannicchiate contro il petto, e la testa appoggiata di lato, la ragazza incontrata due mesi prima al diner di Glendale, che in seguito aveva rivisto sotto il Golden Gate di Frisco, e alla quale aveva infine donato il suo cuore immortale.
Il viso di Grace era rischiarato da un sorriso che pareva l’immagine pura di quell’estate infinita profetizzata dal Figlio del Principale, qualche tempo prima, secoli, secondo i parametri temporali del pianeta che, magicamente, sembrava sospeso sotto la Spiaggia, e nello stesso tempo la conteneva. Gabriel si sentì a casa.
Fu proprio Gracelyn a intuire come la Spiaggia Bianca si trovasse in California, in un punto fra Los Angeles e San Francisco, anche se nessuna mappa l’avrebbe mai segnata, nessuna strada mai attraversata, se non quella che congiungeva e univa le emozioni dell’Onda e della Nuvola, una volta che l’Acqua divenne Acqua e nell’Acqua si perse, ritrovando se stessa.  

Gracelyn adorava la Spiaggia Bianca, era il mondo perfetto che lei e Gabriel avevano creato insieme, una realtà sospesa a mezz’aria tra l’universo e il Paradiso… Era il loro mondo, solo loro, e di nessun altro. Era un mondo fatto di luci e colori, dove la notte era illuminata dal brillare delle stelle, che donavano, con la loro luce azzurra, un senso di pace e tranquillità, ma anche di intimità. Nel loro mondo c’era solo amore, lì gli orrori dei pianeti che li circondavano non potevano arrivare, e sembravano sfumare completamente quando loro due si incontravano.
Gracelyn vide Gabriel avvicinarsi, sorridendo lo salutò con la mano, distendendo le gambe, in una posizione più comoda. Quando lui fu vicino, lei si alzò e lo salutò abbracciandolo; Gabriel ricambiava l’abbraccio stringendola forte a sé, e tutt’intorno il loro Mondo cominciava a disporsi in modo da creare un’atmosfera fatta apposta per loro due.
- Il Capo ti ha tenuto impegnato più del previsto? – chiese Grace, dopo avergli dato un bacio.
- Si – rispose lui – ha voluto un rapporto dettagliato della scena del crimine, e abbiamo cominciato a buttare giù qualche idea sul da farsi…
- Dai amore, adesso siamo qui… lasciamoci stare tutto il resto, abbandoniamoci a Noi...
- Certo amore… rimaniamo qui, abbracciati, per il tempo che possiamo...
Gabriel sedette sul divano, e Gracelyn lo seguì rannicchiandosi vicino a lui. Poggiò la testa sul suo petto, lui la teneva stretta tra le braccia, mentre il mare scelse di cantare per loro una melodia pura e divina, pura e divina come l’amore che li univa.
L’alba arrivò presto. Gracelyn alzò la testa, restando nelle braccia di Gabriel, e gli disse :
- Non ti sembra un sogno? Qui è tutto perfetto, unico, speciale…
- Ma infatti è un sogno... il nostro sogno. E’ un sogno magico… perché noi riusciamo ad entrare l’uno nel sogno dell’altra, e far sì che diventi realtà, un splendida realtà.
Gracelyn lo guardò negli occhi, uno sguardo che lui ricambiava con tutta la dolcezza di un Angelo innamorato.
- Ti Amo Gabriel – gli disse Gracelyn col suo meraviglioso sorriso di bambina.
- Ti Amo Gracelyn – rispose lui stringendola più forte. 

Aspettarono che il sole splendesse alto nel cielo, prima di salutarsi, felici di aver condiviso quel tempo che il Capo aveva concesso loro, da soli, nel loro fantastico Mondo.