28/11/09

18 Pensieri per 28 Universi


Un pensiero per ogni Giorno

18 pensieri per Questo Giorno

28 Universi racchiusi nel

Palmo di una Mano.


E lei canta una ninnananna
fra le mura del castello,
una coperta di note
che l'abbracciano,
proteggendola dal freddo.
Non è nata per le lacrime, i pugnali,
l'eresia del tradimento,
le scuse fatte di stanze scure,
il silenzio di Dio,
il dolore senza ricompensa.
Lei è nata per volare, respirare,
raccogliere, ritrovare,
fare l'amore,
è questo che lei vuole:
il suo abito nuziale,
intrecciato di parole che non hanno ombra,
e accarezzano con un “si” le labbra bambine
del Re che ha per corona i suoi respiri,
lo scettro di diamante accanto ai libri
da scrivere insieme,
e le culle dorate dove riposano
Angeli e Sirene,
nutriti dal suo seno,
fratelli del domani che è già oggi.

Buon 28 Novembre Amore mio

Ti Amo Samy

il Tuo

Robi

18 Volte 28

 





 

Tanti Auguri Amori

miei

cuore

Buon 28 Novembre

Vi Amo

    La Vostra

                Samy

26/11/09

Ali d’Acqua VI

Water Wings 7

Il Kraken

Gracelyn, a occhi chiusi, si abbandonava alla carezza di quel vento profumato di salsedine, che le soffiava sul viso e le scompigliava i lunghi capelli castani, mentre la barca procedeva veloce sulla superficie dell’Oceano, al largo delle coste australi. Appoggiata a tribordo, con la testa leggermente piegata sulla spalla, si godeva quei pochi momenti di pace, assaporando le sensazioni di assoluta serenità e dolcezza che il suo elemento naturale, le donava. Molto presto, pensava, avrebbe rimpianto quegli attimi, una volta che la barca fosse giunta a destinazione, in quella zona dove una minaccia ancora non ben definita, stava lentamente risucchiando la vita dal mare.
- Capo, ci siamo.
La voce di Chuck la scosse da quel torpore quasi onirico, e Grace aprì gli occhi. La barca era ferma - non si era accorta della manovra, immersa com’era nella sua trance elementale - e il suo assistente la stava fissando, con un sorriso compiacente sul volto abbronzato. Chuck era un aborigeno, e capiva la sostanza dei sogni. Una delle ragioni per cui Grace lo aveva messo al comando della sezione australiana delle Star-Shaped Sheashell org.
- Bene, Chuck, è qui dunque...
- Si. Perlomeno, questa è la zona segnata sulla mappa virtuale elaborata da Devereaux... e detto fra noi, Capo, qualcosa mi dice che è proprio qui che inizieremo ad avere qualche risposta.
Quel qualcosa era un altro dei motivi per cui Chuck avesse un ruolo di primaria importanza nell’organigramma dell’Azienda, e nella considerazione professionale di Grace. Il giovane aborigeno aveva infatti una sensitività telepatica molto sviluppata, che lo rendeva oltremodo prezioso per gli scopi perseguiti dalla Sea Star org. L’ultima ragione era l’assoluta discrezione e fedeltà del giovane, una delle poche persone a conoscenza della natura Atlantidea della manager dagli occhi verdi.
- Bene, allora procediamo come convenuto, Chuck. Accendi gli scanner di profondità, e crea una copertura antiradar per un raggio di, diciamo, tre miglia marine, registra tutto, e rimani costantemente in contatto con me... - Grace si tocco la tempia con due dita, indicando un tipo di contatto non contemplato dalle scienze esatte.
- Naturalmente - annuì Chuck, avvicinandosi con una muta subacquea blu cobalto, che le porse. Grace fece segno di no con la mano.
- Non stavolta, Chuck. E’ troppo che manco dal mare, voglio sentire le correnti sulla pelle, amico mio - disse, sorridendo.
Si tolse la t-shirt bianca, i mocassini Timberland, e i corti pantaloncini di cotone. Sotto portava un costume a due pezzi con motivi geometrici verdi e neri. Con un agile balzo saltò sul bordo della barca, mantenendosi in equilibrio bilanciandosi sulla punta dei piedi, e allargò le braccia. Portò avanti le mani, assumendo una posa da esperta tuffatrice; il vento le agitava leggermente i capelli, mentre l’Ondina assaporava ogni istante dell’attesa, prima di spiccare il salto verso le profondità dell’Oceano.
Grace si voltò un’ultima volta verso Chuck, sorrise, e con un balzo si lanciò nell’acqua, sparendo in un baleno sotto la superficie.
- Buona fortuna, Capo - mormorò Chuck, facendosi serio. Poi si voltò e tornò all’interno della cabina comandi, pronto a fare la sua parte.


La carezza delle correnti sottomarine era infinitamente più dolce e delicata di quella del vento di superficie. L’accoglieva, ricordandole che lei era una creatura dell’acqua, e la sua casa era l’Oceano, vasto e multiforme quanto l’universo che lo conteneva.
Nuotava veloce, gustando la delicata, ma pungente sensazione dell’ossigeno che penetrava nel suo organismo attraverso i pori della pelle, scorrendo lungo le arterie, e si trasformava in energia di vita. Non c’era paragone con la limitata capacità respiratoria del popolo di superficie, questa era essenza pura della consapevolezza di esistere.
Anche se la missione l’aveva costretta a rinunciare alla sua fisicità originaria, le gambe in cui si era metamorfizzata la pinna caudale si comportavano bene, e battendole alternativamente, facendo vibrare la massa d’acqua coi piedi, riusciva a raggiungere velocità notevoli, anche se non elevate come quelle di un tempo. Ma non importava. Rinunciando alla sua forma originaria di Ondina, aveva guadagnato l’amore di un Angelo.
Immersa nel suo elemento, e nel flusso dei pensieri, Grace non si era accorta di essere scesa notevolmente in profondità, giungendo in una zona buia e silenziosa -per lei, in grado di sentire le migliaia di voci del mare-, dove le correnti tendevano a diminuire, fino a fermarsi, e dove non vi era apparentemente alcuna forma di vita.
Gracelyn si fermò, ondeggiando, con leggeri movimenti delle braccia e delle gambe. Percepiva come l’acqua, in quel punto, tendesse a raffreddarsi progressivamente. Capì di essere giunta presso l’epicentro della zona di crisi.
“Chuck... riesci a sentirmi?”, chiamò telepaticamente il giovane aborigeno, rimasto sulla barca.
“Si Grace”, la risposta le giunse direttamente nel lato destro del cervello, chiara e limpida, come se Chuck fosse lì, a un metro da lei.
“Ci siamo, direi... cosa segnalano gli strumenti?”
“Una vasta massa non identificata, proprio sotto di te... e anche davanti... e ai tuoi lati... non è molto chiaro Capo, lo scanner mi dà tua posizione, ma tutto il resto è come... offuscato, e in continuo cambiamento... Si, direi che ci siamo!”
Grace scese leggermente più in profondità, entrando nel cuore della zona scura, con cautela, ma senza esitazioni.
E il Kraken aprì il suo occhio, fissandola.

Chuck venne letteralmente spinto indietro, mentre il suo cervello parve esplodere. Andò a sbattere contro la parete della cabina comandi, e cadde a terra, portando le mani alla testa e stringendo i denti, in una morsa di dolore lancinante, dopo che quello che sembrava il grido di morte di mille gabbiani, gli aveva devastato per lunghi istanti la mente.
Gli ci vollero una decina di minuti per riprendersi, rimettersi in piedi, con la testa che ancora ronzava, e un principio di emicrania in arrivo. Corse fuori dalla cabina, percorrendo velocemente il ponte, e scrutando l’Oceano, mentre la preoccupazione iniziava a trasformarsi in un senso di panico. Non vedeva nulla, il mare era calmo e piatto come una tavola. Anche il vento era caduto, riducendosi a una brezza sottile e sibilante.
Non sarebbero dovuti andare là da soli, pensò, era stata una follia. Nonostante i poteri, e la determinazione di Grace, quello era un problema troppo grande per affrontarlo così, quasi incoscientemente. Non sentiva più i pensieri dell’Ondina, e mentre i minuti passavano si preparò al peggio.
Poi, un rumore alla sua destra lo scosse dal torpore, e Chuck si voltò, in tempo per vedere una forma elegante e leggera volare fuori dall’acqua, e atterrare delicatamente, rannicchiandosi sul ponte. Un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra.
- Grazie al cielo... - mormorò.
Grace si alzò in piedi, avvicinandosi al giovane, con l’acqua che le scorreva lungo il corpo, bagnando il ponte, e il viso sconvolto da un’espressione mista di orrore e risoluzione.
- L’ho visto... - disse, quasi parlando a se stessa, quando fu a un paio di metri da lui. Chuck la fissava, muto.
Gracelyn si tirò indietro i lunghi capelli castani, e volse lo sguardo verso la superficie dell’Oceano - ...è peggio di quanto pensassimo, Chuck...
L’aborigeno annuì, continuando a rimanere in silenzio.
Grace tornò a fissarlo - Fai rotta verso la costa – disse - io... devo... ho bisogno di parlarne con Gabe.
E mentre Chuck si dirigeva verso la cabina comandi, Grace sedette sul ponte, allungò le gambe rilassando i muscoli, e la mente. Chiuse gli occhi, e aprì il passaggio dimensionale per la Spiaggia Bianca, dove avrebbe incontrato il suo Angelo.

17/11/09

Start

Ricordo...

Attraversai l’America, era la prima volta,

panorami intravisti nei Tuoi occhi...

Quant'era strano...

Schermi gemelli, uniti sulla stessa

Strada,

i Tuoi occhi...

in cui si riflettevano visioni

del mio spirito, fatto di Aria e Fuoco,

e il Modo in cui vedevo era anche

il Tuo,

e già potevo dargli il Nostro Nome.

Ricordo...

quando Atlantide dormiva

un sonno chiuso nella Torre ermetica,

sotto quel Mare dove tante volte,

mi ero persa, lacerata, unita

urlando nel silenzio una preghiera,

un soffio di Vita che dal profondo

giungesse a Chi avrebbe fatto Riemergere

la corrente sottomarina...

Ricordo...

il Sole che splendeva a Liverpool,

in quei grigi giorni di primavera,

quando il dolore generò la Speranza,

e che mai dimenticherò...

E il Caldo di fine Maggio,

che sempre, e ancora più forte,

per sempre proteggerà

la mia Rinascita...

Gocce di Pensieri, leggeri e dolci,

riuniti in una Sacra Celebrazione,

Onde infinite in un Oceano di Emozioni,

più Forti nel loro incedere,

da quando il Vento, saggio misterioso,

le ha rese spose del Tempo e dello Spazio,

spingendo il loro moto in California,

su quella Spiaggia dove posso

amarti,

contro la Roccia dove non più sola

grido il mio pazzo, immenso, puro

Canto d'Amore.

Grazie, Amore Mio...

Grazie a te, Grazie di Esistere, ancora una volta.

14/11/09

Un Mondo a forma di Te

un mondo a forma di te

 

L’unicità del Tuo Spirito puro

è nascosta tra le segrete del Castello del vento,

protetta dalla custodia di una Chitarra Reverberata

che segna il tempo in 4/4,

armonizzando la sinfonia

nata dal canto di un Angelo,

che sorvola il Cielo azzurro libero dalle Ali.


La dolcezza che accompagna il Tuo sentire

è fissata tra le pieghe di un sorriso vagabondo,

illuminato dalla strada del Re

che delimita il confine tra ieri e domani,

percorrendo le vie d’Eldorado

che si dispongono al centro dell’Universo

come mappe di Stelle disegnate sul Libro del Sapere.

 

L’Anima Guerriera del Tuo essere Uomo

è stretta tra le mani di un’Onda sbarazzina,

mischiata alla Sabbia profumata

di Mare infinito che si confonde tra gli Scogli

di un Mondo a forma di Te,

facendo capolino sulla Spiaggia del Futuro

come una Conchiglia che abbraccia il Bagnasciuga.

 

Se dovessi descrivere il Cielo quand’è terso,

che limpido e infinito riempie l’aria

dei pomeriggi d’Estate,

lo farei con la bellezza dei Tuoi Occhi Incantatori.

Se dovessi descrivere il Mare in tempesta,

che batte Sentinelle di Rocce attente

con la sua illimitata potenza,

lo farei con le mani della Tua Saggezza Incontaminata.

Se dovessi descrivere la Terra asciutta,

che smossa dai sospiri del Vento aspetta

la prima Pioggia d’Autunno per dissetare le Radici,

lo farei con le Braccia del Tuo Amore Sconfinato.

Se dovessi descrivere il Paradiso,

che fitto di Nuvole e Grazia

sorride al di là del cielo salutando i Prescelti,

lo farei con la Voce della Tua Perfezione.

Ti Amo

Ali d’Acqua V

Water Wings 06
La Spiaggia Bianca
di
Robi & Samy California

La Spiaggia Bianca era sempre esistita, con le sue nuvole che erano scogli, e l’Oceano, brillante di riflessi smeraldo, fino all’orizzonte. Era tangibile e materica, anche se non era reale. Ma al tempo stesso lo era. Esisteva in una dimensione misurabile unicamente coi parametri del sogno, e solo un evento paragonabile all’incontro di un Angelo e un’Ondina poteva aprire il continuum spazio-temporale che la conteneva, e permettere l’accesso alle immense distese di sabbia e acqua di quel Mondo.
La prima volta che Gabriel poté ammirarne la perfetta armonia di forme, colori, odori, calore e luce, si domandò se, per caso, la sua missione fosse stata revocata, e il Capo l’avesse richiamato a sé, nelle Alte Sfere. Ma lassù non c’era acqua, non c’erano nuvole e sabbia, e soprattutto non c’era quel divano rosso sospeso sopra il Pianeta Terra, dove in quel momento sedeva, con le ginocchia rannicchiate contro il petto, e la testa appoggiata di lato, la ragazza incontrata due mesi prima al diner di Glendale, che in seguito aveva rivisto sotto il Golden Gate di Frisco, e alla quale aveva infine donato il suo cuore immortale.
Il viso di Grace era rischiarato da un sorriso che pareva l’immagine pura di quell’estate infinita profetizzata dal Figlio del Principale, qualche tempo prima, secoli, secondo i parametri temporali del pianeta che, magicamente, sembrava sospeso sotto la Spiaggia, e nello stesso tempo la conteneva. Gabriel si sentì a casa.
Fu proprio Gracelyn a intuire come la Spiaggia Bianca si trovasse in California, in un punto fra Los Angeles e San Francisco, anche se nessuna mappa l’avrebbe mai segnata, nessuna strada mai attraversata, se non quella che congiungeva e univa le emozioni dell’Onda e della Nuvola, una volta che l’Acqua divenne Acqua e nell’Acqua si perse, ritrovando se stessa.  

Gracelyn adorava la Spiaggia Bianca, era il mondo perfetto che lei e Gabriel avevano creato insieme, una realtà sospesa a mezz’aria tra l’universo e il Paradiso… Era il loro mondo, solo loro, e di nessun altro. Era un mondo fatto di luci e colori, dove la notte era illuminata dal brillare delle stelle, che donavano, con la loro luce azzurra, un senso di pace e tranquillità, ma anche di intimità. Nel loro mondo c’era solo amore, lì gli orrori dei pianeti che li circondavano non potevano arrivare, e sembravano sfumare completamente quando loro due si incontravano.
Gracelyn vide Gabriel avvicinarsi, sorridendo lo salutò con la mano, distendendo le gambe, in una posizione più comoda. Quando lui fu vicino, lei si alzò e lo salutò abbracciandolo; Gabriel ricambiava l’abbraccio stringendola forte a sé, e tutt’intorno il loro Mondo cominciava a disporsi in modo da creare un’atmosfera fatta apposta per loro due.
- Il Capo ti ha tenuto impegnato più del previsto? – chiese Grace, dopo avergli dato un bacio.
- Si – rispose lui – ha voluto un rapporto dettagliato della scena del crimine, e abbiamo cominciato a buttare giù qualche idea sul da farsi…
- Dai amore, adesso siamo qui… lasciamoci stare tutto il resto, abbandoniamoci a Noi...
- Certo amore… rimaniamo qui, abbracciati, per il tempo che possiamo...
Gabriel sedette sul divano, e Gracelyn lo seguì rannicchiandosi vicino a lui. Poggiò la testa sul suo petto, lui la teneva stretta tra le braccia, mentre il mare scelse di cantare per loro una melodia pura e divina, pura e divina come l’amore che li univa.
L’alba arrivò presto. Gracelyn alzò la testa, restando nelle braccia di Gabriel, e gli disse :
- Non ti sembra un sogno? Qui è tutto perfetto, unico, speciale…
- Ma infatti è un sogno... il nostro sogno. E’ un sogno magico… perché noi riusciamo ad entrare l’uno nel sogno dell’altra, e far sì che diventi realtà, un splendida realtà.
Gracelyn lo guardò negli occhi, uno sguardo che lui ricambiava con tutta la dolcezza di un Angelo innamorato.
- Ti Amo Gabriel – gli disse Gracelyn col suo meraviglioso sorriso di bambina.
- Ti Amo Gracelyn – rispose lui stringendola più forte. 

Aspettarono che il sole splendesse alto nel cielo, prima di salutarsi, felici di aver condiviso quel tempo che il Capo aveva concesso loro, da soli, nel loro fantastico Mondo.

07/11/09

Ali d’Acqua IV

Water Wings 05

Intersezioni

L’atmosfera all’interno era quella che si respira in un qualunque Starbuck, di un aeroporto fra Amsterdam e Seoul, e solo l’accento Commonwealth masticato, e la vista parziale dei terminal del Richmond, che le ampie finestre di vetro lasciavano intravedere, fra le tendine socchiuse, indicavano in Sidney il luogo dove Gracelyn e Devereaux stavano parlando, seduti a un tavolo d’angolo, discretamente riparato da una serie di piantine decorative verde acceso.
Grace aveva preferito incontrare l’oceanologo subito dopo l’arrivo nella metropoli australiana, senza passare prima in albergo, impaziente di avere notizie riguardo la crisi in atto nella parte marina del globo.
Ora però, dopo le dieci ore di volo, e le due già trascorse da quando, salutandola col suo solito sorriso che somigliava a un ghigno, sotto il panama bianco che portava probabilmente anche quando dormiva, Devereaux le aveva fatto strada all’interno del locale, e iniziato il suo rapporto, con i muscoli doloranti e la pelle secca, i piedi che imploravano dolorosamente di essere liberati dalle strette chanel - non si sarebbe mai abituata ad avere due gambe articolate, e ora più che mai rimpiangeva la flessuosa eleganza della pinna caudale che era il suo orgoglio, sin da quando sguazzava, piccola Ondina curiosa, intorno alle torri di Atlantide, giocando a nascondino coi suoi amichetti - Grace si chiedeva se la sua fosse stata una saggia decisione. Aveva bisogno di acqua, la sua riserva autonoma era pericolosamente in rosso, e in questo momento una doccia fresca e prolungata rappresentava tutto ciò che avrebbe chiesto, se un genio fosse uscito dalla lampada alogena che pendeva dal soffitto dello Starbuck.
- Questo è quanto - disse il canadese, appoggiandosi indietro sullo schienale della poltroncina in alluminio e legno.
- That’s all... - mormorò fra sé Grace, studiando i grafici sul monitor del notebbok di Devereaux.
- Non c’è dubbio si tratti di una crisi a livello planetario, ormai possiamo affermarlo con chertezza, mon chére...
Grace aggrottò le sopracciglia; le zone segnate in rosso sulla mappa oceanica nel monitor lampeggiavano sinistre: otto piccole regioni di oceano, dislocate in diversi punti del pianeta, in cui diverse forma di vita stavano scomparendo. Tutto nel giro di tre giorni, troppo velocemente perché qualcuno, oltre alla Star-Shaped Sheashell org., potesse accorgersene, e prendere provvedimenti.
- Il Kraken si è svegliato, dunque...
- Oui, le Krakén... - sorrise Devereaux, con un tono scettico - la mia formazione puramente scientifico-materialista mi impedisce di associare questi fenomeni a una natura, diciamo così, fantastique... ma se intendiamo la cosa in chiave di metafora... - sorrise ancora, fissando Grace - possiamo affermarlo, absoluement... il Kraken si è svegliato, si.
Gracelyn si massaggiò le tempie, un gesto abituale, in quel momento reso più che necessario dalla gravità della situazione. Le chanel sarebbero rimaste al loro posto, e la doccia doveva aspettare.

Avvicinandosi all’angolo che nascondeva la scena del disastro, Gabriel cercò di isolarsi dai rumori che gli bombardavano il cervello, amplificati dalle sue percezioni angeliche, e minacciavano di farlo impazzire. Non amava la confusione, abituato alle Sfere Celesti, ma sapeva a cosa andava incontro, quando accettò quell’incarico dal Capo che aveva visto Tutto, e il lavoro di fotografo per l’altro capo, quello sovrappeso che si svegliava - e lo svegliava - sempre troppo presto, la mattina.
E pur essendo stato testimone di molti eventi eccezionali, nel corso della sua lunghissima esistenza, non era davvero preparato alla scena che si presentò ai suoi occhi, una volta girato l’angolo.
Una larga sezione circolare dell’isolato era sparita. Come se una sfera di antimateria fosse venuta a contatto con la realtà, asportando in maniera perfetta la parte contenuta all’interno del volume. Gli edifici, la strada, le automobili, tutto era tagliato con precisione lungo una sezione sferica. Anche i corpi dei malcapitati che, nel momento del disastro, si erano trovati lì. E quella era la parte peggiore.
Corpi segati a metà, in verticale e orizzontale, o in entrambe le direzioni; arti scomposti senza corpo, teste mozzate all’altezza del collo, della bocca, degli occhi, o lungo l’asse di simmetria del volto. Uomini, donne, anziani, bambini. Anche qualche sfortunato cane, un paio di gatti, e qualche piccione che volava sopra la zona del disastro, giacevano fatti a pezzi, e sparsi per un raggio di trenta metri intorno alla sfera invisibile, che delimitava la zona dell’incidente. L’odore pungente del sangue che si raggrumava scuro, sotto il sole di mezzogiorno, e riempiva la scena, rammentarono a Gabe certe visioni dell’Inferno, studiate durante il suo Apprendistato Celeste.
Tutt’intorno alla zona la polizia aveva steso un cordone, impedendo ai curiosi di avvicinarsi. Alcuni dei poliziotti, un paio di pompieri e addirittura qualcuno del personale paramedico, stavano vomitando, poco distante da brandelli non identificati di materia organica lacerata.
C’era anche Timberlake, e Gabe gli si avvicinò.
- Tenente, che mi dici di questa roba? - chiese, toccando il poliziotto sulla spalla, con l’obbiettivo della Nikon.
Timberlake si voltò di scatto, un’espressione di orrore dipinta sul volto. Riconobbe il fotografo - Gabe... immaginavo saresti arrivato anche tu...
- Brutta storia - riprese Gabriel, accendendosi una sigaretta - ma che è successo?
Conosceva bene la causa di quel disastro, ma voleva tastare il polso alle autorità, per capire quanto sapessero.
Timberlake scosse la testa - Che vuoi che ti dica? Guarda da solo, e se tu hai una spiegazione plausibile, dammela... dimmi che si tratta di qualche atto terroristico, ti prego...
Gabe non rispose, aspirando una profonda boccata dalla sigaretta. Avrebbe preferito anche lui si trattasse di un attentato, o qualcosa del genere. Perché il Leviatano era infinitamente più letale, e spietato, di tutti i terroristi che abitavano i Settanta Pianeti del Multiverso.
E quella volta, giocava in tandem col Kraken.

06/11/09

La Strada del Re

la strada del re4

C’era una volta un Re, che non sapeva di essere Re.

Sapeva di essere un Cavaliere dalla spada di fuoco, il mantello rosso e l’aura blu. Ma non immaginava di essere un Re.

I suoi sudditi sapevano che lo fosse, era troppo diverso da loro: troppa bontà, troppa generosità, troppo coraggio, troppo senso della giustizia, troppa lealtà verso chi gli voltava le spalle… no, non era uno di loro. Aveva un cuore troppo nobile per essere un semplice popolano.

I suoi sudditi sapevano fosse il Sovrano, ma nessuno glielo diceva, erano troppo invidiosi per suggerirglielo, e temevano  che con la sua Forza li avrebbe sottomessi alla propria volontà, così continuavano per la loro strada facendo finta di ammirare il carisma del Cavaliere, anche se di lui, gli importava soltanto che non salisse al potere, curandosi solo di non rivelargli che era il Re.

L’anima del Cavaliere era troppo pura per conoscere l’invidia, e troppo altruista per ambire al potere, così continuava a battersi per difendere i diritti dei più deboli, come un eroe venuto dal cielo per combattere i demoni dell’ingiustizia.

Non si chiedeva mai perché quando percorreva le vie di qualsiasi luogo tutti i presenti esultassero, ma non appena l’ultimo lembo di mantello voltava l’angolo, nessuno si ricordasse di lui.

In realtà tutti si ricordavano di lui, ma la gente era troppo ingrata per far sì che la loro riconoscenza durasse più di tre minuti per vita.

Il Cavaliere regalava sorrisi a chiunque li chiedesse, era una grande compagnia per chiunque lo cercasse, tutti l’adoravano. Ma tutti erano troppo egoisti per ammettere che fosse migliore di loro, e adorarlo sinceramente. Preferivano avere l’ambiguità come sovrana, piuttosto che un Re coraggioso e altruista come lui.

Era sempre circondato da persone d’ogni genere, il Re. Ma il suo spirito guerriero era più solo di una barca in balìa del mare in tempesta, la sua unicità di cuore puro sembrava non avesse compagni in nessun angolo del mondo.

Una damigella vestita d’oro piangeva seduta nella piazza principale, tutti la guardavano, nessuno si avvicinava.

Il Cavaliere ne ebbe pena e pensò di salvarla dai suoi tormenti. Armato di buon cuore e forte del suo scudo indistruttibile, la portò nei pressi della sua residenza, abbassando il clipeo che lo rendeva invulnerabile.

È qui che subì l’incantesimo della Strega del Sonno.

L’inganno era il suo mestiere, e spogliatasi dell’oro preso alla Regina delle Menzogne, che l’aveva vestiva di luce artificiale offuscando la vista del Cavaliere, aveva barattato l’eroe col suo ego sornione,  pronunciando il sortilegio che lo addormentò profondamente.

Imprigionato nel sogno, il Cavaliere impugnava urlando la sua spada di fuoco, combattendo mostri vestiti di fiori e profumi, che lo beffeggiavano svanendo nel nulla appena li avvicinava.

Il suo coraggio gli impediva di arrendersi, la sua forza gli imponeva di continuare a combattere, sapeva di poter svegliarsi e uscire dall’incubo innescato dalla Strega del Sonno camuffata da fata della vita.

L’arpia rideva mentre stava per sferrare il colpo decisivo, quello con cui avrebbe potuto far sua l’anima pura e valorosa mangiandogli il cuore.

Un’aquila mandata dal cielo, planò su quelle mani rozze e avide di appariscenza e potere privandola del pugnale, i suoi artigli le cavarono gli occhi sfregiandole il viso tra urla e contorsioni che interruppero l’incantesimo, ridandole l’aspetto clandestino dello squallore, che la rivestì dei suoi stracci.

Il Cavaliere si destò dal sonno, e senza scappare, restò a guardare la fine della strega, alzando scudo e spada verso il cielo in segno di riconoscenza divina.

Una ragazza mandata dall’Imperatore in persona per restituire la corona al suo Re, avanzava dal lato opposto del sentiero cui era arrivata la megera.

Aveva ancora le braccia alzate, il Cavaliere, quando la portatrice vide la sua gloriosa figura. Lo riconobbe subito.

L’Imperatore le aveva dato come indicazione la spada di fuoco che il Re avrebbe impugnato mentre lei lo cercava. Ma alla ragazza non servì guardare la spada: lo riconobbe dal sudore che imperlava gocciolante la fronte del Guerriero.

Gli sorrise mettendogli la corona sulla testa, mentre lui la fissava con occhi interrogativi, dicendole di non essere la persona a cui era destinato l’importante diadema.

Lei, asciugandogli il sudore e raccogliendolo in un fazzoletto, gli fece cenno di si, senza dire niente. In seguito avrebbe avuto tempo per spiegare.

La luce dello smeraldo incastonato nella corona si riflesse sulla spada incandescente, tramutandola in uno scettro che il Cavaliere impugnava saldamente, osservando stupito ciò che era sempre stato suo. Guardò negli occhi la ragazza e capì.

La Regina sorrise al suo Re dal Mantello Rosso, l’Aura Blu e lo Scettro di Fuoco. E la corona di smeraldo, lanciando in Aria il fazzoletto intriso di sudore.

L’Imperatore lo raccolse tra i soffi del Vento, e da quelle gocce d’Eroe mescolate ai semi della Terra, creò Gabriel, il più forte degli Arcangeli.





02/11/09

Ali d’Acqua III

Water Wings 04
 
 San Francisco 
C’era in effetti una ragione per cui aveva scelto San Francisco come base per la sua attività, una ragione che il Capo - quello che ha visto Tutto, ma proprio Tutto - non mancava mai di sottolineare, ridacchiando dietro la barba bianca.

La transustanziazione di Gabriel era avvenuta a New York, ma solo perché è lì che ci sono Quartieri Celestiali attrezzati a rendere il transfert più veloce e preciso. Comunque la sua missione l’avrebbe stanziato nella West Coast.
In nome di quella libertà di scelta, prerogativa anche dei Servitori Alati della Suprema Volontà, poteva decidere il luogo dove avrebbe stabilito la sua dimora terrena.
Ovviamente Los Angeles era la meta privilegiata di ogni Angelo in distacco temporaneo sul Pianeta Terra, e lì Gabe si diresse, inizialmente, studiando la città, il cielo sopra la città, le correnti nascoste sotto la città, lungo le quali si muoveva l’energia che avrebbe dovuto utilizzare, o combattere, una volta che il Leviatano si fosse svegliato.
Scattò moltissime foto di quella metropoli, riservandosi di studiarle con calma. Era un posto che lo affascinava, pieno di stimoli e vibrazioni, ma voleva vedere anche San Francisco. Perché poi, alla fine, tutto l’immaginario terrestre che aveva destinato Gabe fra le fila degli Angeli Custodi dei Sistemi Galattici, da lì derivava.
Intanto quella città portava il nome del santo più eccentrico e incredibile avesse mai incontrato, fra le Sfere; un tipo che a volte metteva in soggezione perfino il Figlio del Capo, quando discutevano del modo migliore per mandare avanti l’Azienda.
E poi, San Francisco era il posto dove gran parte di quel Tutto - perlomeno la parte più fragorosa e divertente - era accaduta: da quando, sulla spiaggia di Big Sur, Jack, Neal, Allen e compagnia lanciavano i loro “Urli”, prendendo poi la destination anyywhere on the road, a quando, in un’estate probabilmente più luminosa di altre, l’Amore esplose riempendo cielo, terra, mare e strade.

A questo pensava Gabe, mentre sorseggiava un caffè lungo, in un diner di Glendale, con le foto scattate a L.A. in bella mostra di fronte a sè, sul tavolino di alluminio anodizzato.
E fu in questa postura che lo trovò Gracelyn, passandogli accanto, e non potendo fare a meno di notare le istantanee di luoghi a lei noti, della Città degli Angeli. Il suo sguardo incuriosito non sfuggì al fotografo, che comunque continuò a bere il suo caffè, facendo finta di nulla, per non mettere in imbarazzo la bella ragazza dai lunghi capelli lisci e luminosi, e lo sguardo di smeraldo.
Il giorno dopo Gabriel arrivò a San Francisco. Con la testa piena delle note dei Quicksilver Messenger Service e i Moby Grape; l’anima che risuonava dei versi di Ferlinghetti e Ginsberg; gli occhi pieni dei colori di
Fragole e Sangue e Clint Eastwood che inseguiva Scorpio, con una 44 Magnum lunga come la spada di Michele Arcangelo, il suo compagno di banco al liceo.
La prima tappa fu il Golden Gate, naturalmente, e non perché avesse urgenze da cartolina. Semplicemente quello era il ponte più bello del mondo, sulla Baia più bella del mondo. E mentre la nebbia del mattino iniziava a diradarsi, capì che i miracoli accadono, e anche agli Angeli è concesso di stupirsi, almeno una volta nel corso della loro immortale esistenza. Cosa che, durante l’apprendistato, il suo tutor Daniele aveva sempre rimarcato.
Accanto ai piloni rosso carminio del Ponte, meraviglia incarnata dei fotogrammi più affascinanti e visionari di
Vertigo di Hitchcock, c’era la ragazza del diner, quella coi capelli lisci e luminosi, e la gonna lunga che sembrava la coda di una Sirena. Era scalza, e giocava con l’acqua che bagnava dolcemente la battigia.
In quel momento Gabe, se mai avesse avuto ancora delle riserve, decise che San Francisco sarebbe stata la sua casa. Scoprì in seguito che Grace viveva a Los Angeles, e la cosa lo divertì, parendogli assolutamente congrua: un’Ondina che abitava nella Città degli Angeli. Un Arcangelo che viveva a due passi dalla Porta Dorata dell’Oceano.

E quando venne il tempo della Spiaggia Bianca, nel punto in cui le onde e le nuvole si toccano, tra L.A. e Frisco, tutto divenne chiaro, per Gabriel e Gracelyn. E iniziarono ad amarsi.


A pagina 50...

L’aereo iniziò la manovra di discesa verso l’aeroporto Richland di Sidney. Rillassando i muscoli e chiudendo gli occhi, Gracelyn si concentrò, il tempo si cristallizzò, e in un attimo che parve durasse in eterno, mentre gli atomi del suo corpo si scomponevano, e poi riprendevano forma, fu sulla Spiaggia Bianca.
Parcheggiò senza troppa cura per la forma, spense il motore, e si mise in ascolto dei rumori che provenivano dall’isolato a poche decine di metri davanti a lui: urla, sirene della polizia, passi veloci. C’era tempo per l’orrore, e il tempo, dopotutto, non aveva alcun senso, sulla Spiaggia Bianca, dove l’attendeva Grace. 

- Da qui è quasi irreale... voglio dire, sembra di assistere a un qualche strano spettacolo, un film...
- Si, e sarebbe bello poter rimanere fino alla fine, semplici spettatori... - Grace appoggiò la testa sulla spalla del suo Angelo, prendendogli la mano nella sua.

- Lo sarebbe si... - lo sguardo di Gabe vagava, rivolto in basso, verso quel buffo pianeta pieno di concitazione, che potevano osservare, dal divano rosso sulla spiaggia bianca fra nuvole e onde, quasi fosse un prisma sfaccettato, e ognuna delle facce corrispondesse a un luogo, un tempo, una realtà diversa, ma sempre facente parte di un Unico. Gabe sorrise all’Ondina scalza, che ricambiò quel sorriso con uno sguardo pieno d’amore.

-A volte mi sento distante da tutto questo... il Kraken, il Leviatano... quasi fosse davvero uno spettacolo annunciato per la stagione in corso, un film che ho già visto, ma del quale non ricordo il finale...

- Non è un film, purtroppo, sirenella - la interruppe Gabriel, facendosi di colpo serio - anche se è uno spettacolo che va in replica da... sempre.

- E stavolta tocca a noi cercare di scriverlo, quel finale...

- Già.

Gabe strinse la mano dell’Ondina, accarezzandole dolcemente le dita - Guarda! Lì... li vedi Grace? - indicò un punto del prisma sfaccettato, alla destra del centro. Gracelyn allungò la testa, ma non riusciva a distinguere nulla di particolare, solo un andirivieni di volti, un sommesso mormorio di pensieri, suoni e rumori mischiati a formare una strana sinfonia, quasi ipnotica.

- Lì - disse Gabe, avvicinando la testa a quella della Sirena. I suoi capelli avevano il profumo dell’Oceano in estate, quando i gabbiani volano verso il sole che sorge.

- Si, li vedo, ora... - disse Grace.

Rimasero per lunghi istanti in silenzio, osservando il bimbo che ascoltava concentrato, con gli occhi pieni di meraviglia, dondolando le gambe sulla panchina del parco, mentre la voce dell’uomo coi capelli bianchi leggeva - I Viaggi di Gulliver, riuscì a decifrare Grace, anche da quella distanza.

- Ci sono ancora padri che leggono libri ai loro figli! Guarda, è arrivato a pagina 50... - ridacchiò Gabe.

- Il nonno... è suo nonno - affermò Grace, con sicurezza. Gabe si voltò a fissarla, per un attimo, poi tornò a guardare in quel prisma, che conteneva un pianeta.

- E’ un mondo assurdo, ma a volte sorprendente...

- …e pieno di miracoli - disse Grace.

- Già - Gabe sorrise, e sollevò la mano destra, dove per un istante brillò una luminescenza diafana, fatta di tutti i colori, che parve prendere la forma di una spada di luce - e merita un happy ending.

- Si - Grace lo baciò sulla guancia, stringendosi ancora più stretta a lui.