24/12/10

Un Racconto di Natale

 

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Stava scendendo la sera e il freddo aumentava, Ben Dammon malediceva quel luogo e le ragioni per cui si trovava lì. D'altra parte il business va svolto con la massima accuratezza, e il Natale è uno dei più grandi business. Ben aveva in mente di lanciare una serie di giocattoli ispirati alla Festa della Natività con cui riempire gli scaffali della catena di negozi che possedeva e, fedele al suo spirito imprenditoriale voleva che quei giocatoli riproducessero con la massima fedeltà i posti dove era nata la leggenda di Babbo Natale. Per questo si era recato personalmente in Lapponia, alla ricerca dell'atmosfera, degli scenari, dei colori e dei profumi che voleva riprodurre in serie. Per questo aveva iniziato a percorrere i sentieri più sperduti, nelle immense distese coperte di neve del Nord Europa, finendo per perdersi in mezzo ad un fitto bosco di abeti, da qualche parte ad est di Rovaniemi.

A peggiorare le cose, un vento gelido iniziava a portare nuvole di neve ghiacciata sempre più fitte, finché Dammon si ritrovò proprio nel mezzo di una tormenta. Cercò alla svelta riparo, trovandolo in una formazione rocciosa capitata quasi provvidenzialmente, al centro della quale si apriva una piccola intercapedine dove il vento e la neve non arrivavano. Si infilò nello stretto pertugio, tirando immediatamente fuori dallo zaino pieno di accessori per sopravvivere a escursioni in quelle latitudini, la coperta isolante, con la quale si avvolse senza lasciare scoperto nemmeno un lembo di pelle. Man mano che il calore tornava a scorrergli nelle vene, Ben raccolse i pensieri. Doveva rimanere lì finché la tormenta non fosse cessata, pena una morte terribile per assideramento in mezzo a un nulla bianco. Con questi pensieri e il caldo della coperta a proteggerlo, scivolò pian piano nel sonno.

Si svegliò dopo un tempo indefinibile, con il buio e un odore di zucchero caramellato a circondarlo. Pensò di essere ancora immerso nei sogni, o che tutto quel freddo stesse iniziando a sconvolgergli i sensi e la mente. Tutto quel pensare a Babbo Natale nelle sue terre gli doveva aver procurato le allucinazioni, non poteva certo trovarsi a due passi dal rifugio di quell'odioso vecchio che si divertiva a vestirsi come un pagliaccio, pieno di caramelle e dolciumi da portare in dono ai bambini. Dato che il profumo non accennava a sparire, Ben cercò una spiegazione più realistica, finendo per convincersi di essere capitato presso qualche baita o rifugio dove qualcuna stava preparando dei dolci. Quel pensiero gli ridiede forza: poteva cercare aiuto, e capire dove fosse finito.

Uscì in fretta dalla grotta, voltandosi a destra e sinistra per cercare l'origine del profumo. La tempesta era terminata, intorno a lui una distesa di neve da cui spuntavano come silenziose sentinelle i tronchi degli abeti.

- Finalmente ti sei svegliato!

La voce era giovane e squillante, con un tono leggermente beffardo, e proveniva da dietro di lui. Ben si voltò, trovandosi faccia a faccia con un ragazzo alto e biondo, con uno sguardo freddo che gelava più della neve, e contrastava col sorriso perfido che gli piegava le labbra.

- E tu chi sei? - esclamò Ben trasalendo - Abiti da queste parti?

- Che ti importa chi sono? hai bisogno di aiuto, o mi sbaglio?

Ben si rincuorò - Si, mi sono perso. Puoi riportarmi sulla strada per Rovaniemi?

- Il paese di Babbo Natale? - rispose il giovane, ghignando - Certo che posso. Se vuoi ti presento a tutti gli elfi e le fate della Lapponia.

- Da come sei vestito - disse Ben, che non aveva apprezzato quella battuta sarcastica - potresti esserlo tu, un elfo! - infatti il ragazzo indossava una calzamaglia verde con degli stivaletti a punta che ricordavano le tipiche calzature dei personaggi delle fiabe, una casacca di lana pesante e un cappello con un sonaglino sulla cima, che tintinnava ad ogni movimento della testa. Quell'abbigliamento era sicuramente dovuto a qualche celebrazione folkloristica in tema natalizio che si stava svolgendo da quelle parti, pensò Ben.

- No, non sono un elfo - rispose il ragazzo - ma qualcosa di molto meglio.

- Si, noi siamo decisamente meglio di quei miserabili esseri! - confermò una voce femminile spuntata dal nulla.

Ben si voltò dalla parte da cui era venuta la voce, e vide una ragazza, anche lei di statura sopra la media e coi capelli biondi, che si avvicinava. I suoi occhi erano ancora più glaciali di quelli del giovane, e il sorriso ancora più maligno. L'abbigliamento era quello di una principessa delle nevi: una lunga tunica e un mantello di pelliccia bianco col cappuccio.

- Ma che maleducati, ancora non ci siamo presentati - continuò la ragazza - Io sono Bestla, e questo è Geirrod - concluse indicando il compagno.

- Piacere, Ben Dammon. E adesso, Bestla e Geirrod, siate così gentili da accompagnarmi sulla strada per tornare in città.

- Quanta fretta! - esclamò Geirrod - Non sei qui per conoscere la casa di Babbo Natale? Seguici, ti ci portiamo noi.

E senza attendere una risposta, seguito dalla ragazza, si incamminò nel fitto della foresta. Ben, non avendo alternative, li seguì.

Dopo alcuni minuti di marcia in mezzo agli alberi, sbucarono in un'ampia radura, illuminata dalle luci che provenivano da un gruppo di casette in legno poste a semicerchio. I camini fumavano, spargendo nell'aria quell'odore di caramello che si sentiva a centinaia di metri di distanza.

- Vieni, ti facciamo vedere una cosa - disse Bestla, indicando la casa più grande, proprio al centro della radura.

Si avvicinarono e si misero a guardare l'interno dalle grandi finestre. Ben trasecolò: l'interno sembrava in tutto e per tutto una fabbrica, solo piena di colori luminosi e dall'aspetto allegro. Un numero imprecisato di piccole figure vivacissime correva di qua e di là, portando ceste, borse, scatole tutte piene di giocattoli e dolci, prodotti dai macchinari dall'aspetto buffo e che sembravano essi stessi dei giocattoli.

- Ma che fanno tutti quei bambini? - chiese Ben, con gli occhi spalancati dalla sorpresa.

- Bambini? - ridacchiò Geirrod, imitato dalla ragazza al suo fianco - Guarda meglio, amico mio. Quello - e indicò un tipo dai capelli scurissimi che, seduto su uno sgabello a molla, inscatolava nastri di caramelle multicolori - ha 143 anni! Quell'altro dietro di lui addirittura 307! La donna che porta il bacile pieno di cioccolata calda, ne ha 265!

- Eh? - mormorò Ben, che non capiva più nulla - Mi state prendendo in giro?

- Niente affatto - rispose Bestla - sono gli elfi che volevi conoscere.

- Chi siete voi? - esclamò l'uomo, che iniziava a sentire un brivido gelido percorrergli la schiena - Cosa volete da me?

- Vogliamo aiutarti, te l'ho detto - disse il ragazzo - Non volevi diventare come Babbo Natale? Costruire giocattoli e darli ai marmocchi? Finché ci sarà lui, nessuno vorrà i tuoi giocattoli. I suoi sono gratis, non potrai guadagnarci niente. Devi farlo fuori.

- Fare fuori Babbo Natale!? E come? Io... sono solo un imprenditore... non posso competere con lui.

- Eppure è il momento giusto per dargli il colpo di grazia - riprese Bestla - ormai quasi nessuno crede più in lui. Se riesci a impedirgli di portare doni questo Natale, la poca fede rimasta in lui morirà del tutto.

Ben scosse la testa - Ancora non capisco se mi stiate prendendo in giro... comunque, come potrei impedire a Babbo Natale di fare il... Babbo Natale?

- Potremmo aiutarti noi. A questo punto tanto vale ci presentiamo in maniera completa: siamo Geirrod e Bestla, due dei Giganti di Ghiaccio figli di Ymir. Abbiamo poteri grandissimi... ma non possiamo usarli conto di lui, se non attraverso qualcuno che lo odi quanto noi, e sia motivato a tal punto da voler prendere il suo posto.

- Io odio il Natale, e Babbo Natale in particolare. Lo sopporto soltanto perché in quel periodo dell'anno vendo molti giocattoli... a gente che ormai, come avete detto voi, non crede più nella sua esistenza. Prendere il suo posto? Che ci guadagnerei?

Bestla sorrise, voltando lo sguardo verso la casetta al centro della radura - Immagina - disse - una vera fabbrica, che produce veri giocattoli, con operai dei veri bambini pagati con qualche monetina o un po' di caramelle. Chi la gestisse guadagnerebbe una fortuna... e potresti essere tu!

Lo sguardo di Ben si fece improvvisamente attento - Vai avanti - mormorò.

- Per rendere inoffensivo Babbo Natale ti daremo noi i poteri. Tutto quello che dovrai fare è lanciargli addosso una ragnatela di ghiaccio... a quel punto le case, la fabbrica, gli elfi, lo Spirito del Natale stesso diventeranno ghiaccio, e nessuno costruirà più i giocattoli... tranne te!

- Ragnatela di ghiaccio? E come faccio a lanciargli contro una ragnatela di ghiaccio?

- Con queste parole - disse Bestla, avvicinandosi a lui e mormorandogli all'orecchio una formula vecchia di millenni.

Ben rimase per qualche secondo in silenzio, assorbendo tutte le in formazioni che quelle ore gli avevano fornito. Ancora non capiva se tutto fosse vero, oppure in qualche modo quei due ragazzi stessero giocando con lui. Ma non aveva niente da perdere, sempre che Babbo Natale esistesse veramente, e lui fosse stato in grado di incontrarlo.

Quasi a rispondere a quella sua muta domanda, una figura barbuta vestita di rosso, a bordo di una veloce slitta trainata da renne, comparve nella radura, dirigendosi svelta all'interno della fabbrica di giocattoli. L'espressione di Ben assunse tutti i toni della sorpresa: quello era Babbo Natale, senza alcun dubbio!

- Che cosa volete in cambio? - dichiarò, ormai convinto.

- Nulla - rispose Geirrod - A noi basta che togli Babbo Natale dalla circolazione. Finché ci sarà qualcuno come lui a tenere vivo lo Spirito del Natale, siamo impotenti. Due esseri con la forza di muovere i mondi, che non possono usarla! Tu congeli Babbo Natale, noi ti diamo una fabbrica come la sua, e anche le sue sembianze. In questo modo potrai trovare quanti marmocchi vuoi disposti a lavorare per te! Affare fatto?

- Affare fatto - rispose Ben senza esitare. Non aveva nulla da perdere, e montagne di soldi da guadagnare.


Quell'anno il Natale non sembrava lo stesso. I bambini continuavano a trovare regali sotto gli alberi addobbati e pieni di lucine colorate, ma era proprio lo Spirito della Festa che pareva in qualche modo sbiadito. Anche Babbo Natale non sembrava più lui, almeno a sentire quei fortunati fanciulli che erano riusciti a scorgerlo mentre lasciava i doni la notte di Natale.

Quei regali erano costosi, sofisticati, ultratecnologici, ma avevano lo stesso sapore di un dolce troppo zuccherato: un paio di morsi e la sensazione di bruciore alla gola prendeva il sopravvento, e il dolce rimaneva sul tavolo appena mangiucchiato.

L'attività frenetica all'interno della fabbrica degli elfi era la stessa di sempre, ma quell'anno non erano gli elfi a darsi da fare intorno alle macchine dalle forme strane e buffe, sostituite da attrezzature all'avanguardia, piene di pulsanti e spie lampeggianti, schermi di computer e cavi da ogni parte. Babbo Natale non portava più la casacca rossa con la pelliccia candida ma, comodamente adagiato su una poltrona, si ingozzava di dolci che uscivano dalla produzione, calcolando contemporaneamente i proventi derivanti dalle vendite dei giocattoli sfornati da quella fabbrica. Era stata l'idea del secolo quella di sostituirsi a Babbo Natale, adescando con promesse di compensi nella realtà ridicoli quella marmaglia di mocciosi ai quali urlava ordini e imposizioni perché si dessero ancora più da fare, aumentando la produzione. D'altra parte li aveva reclutati nei posti più poveri del mondo, e per loro anche soltanto una caramella al giorno costitutiva uno stipendio da re. Tutto il resto dei fantastici proventi che venivano dalla vendita dei costosi giocattoli prodotti, destinati ai bambini delle parti più ricche del pianeta, finivano in tasca a lui, Ben Dammon,il falso Babbo Natale.

Gli elfi che un tempo consideravano quella fabbrica la loro casa, adesso spiavano dalle finestre tutta l'attività frenetica e l'atmosfera di fredda crudeltà - ai loro occhi incomprensibile - con cui venivano trattati i bambini da quel nuovo Babbo Natale che, a sentire lui, aveva preso il posto di quello vecchio con la piena benedizione di quest'ultimo, che aveva lasciato il posto per godersi una meritata pensione dopo tanti secoli di lavoro per nulla retribuito e faticosissimo.

Il ghiaccio spesso e duro come acciaio sotto il quale era sepolto, intrappolava anche i pensieri di Babbo Natale, quello vero, che riusciva a sentire tutta l'angoscia con cui quello che succedeva dentro la sua fabbrica veniva recepito dagli elfi, ma non poteva rispondere loro, rassicurarli, dare speranza. La tomba di ghiaccio in cui Dammon, con l'aiuto dei due Giganti Bestla e Geirrod, l'aveva sepolto era troppo ermetica anche per i suoi poteri, ulteriormente indeboliti dallo Spirito del Natale che, lentamente ma inesorabilmente andava sparendo.


La slitta correva veloce sulla superficie del lago ghiacciato, trainata da sei coppie di snelle e giovani renne. La coppia di sposi che la guidava voleva superare le terre desolate prima che facesse notte. Lei era prossima a dare alla luce il loro primo figlio, e l'agitazione che dipingeva ogni lineamento sul volto di Lui veniva amplificata dal timore che, da un momento all'altro, la moglie potesse iniziare il travaglio, e fossero costretti a fermarsi in quel deserto di ghiaccio.

Spinta dalla forza dei muscoli di quelle vigorose renne, la slitta sfrecciava quasi volando, macinando metri su metri, e avvicinandosi all'altra sponda del lago. Improvvisamente uno scarto seguito da un rumore come di rami spezzati, e il pattino sinistro sprofondò nel ghiaccio, aprendo uno squarcio nella superficie.

- Ferme! - esclamò Lui, rivolto agli animali, tirando le redini.

Lei si aggrappò al suo braccio, terrorizzata all'idea che un qualunque pericolo minacciasse il bambino che portava in grembo.

Le renne, dopo qualche istante di agitazione, si calmarono improvvisamente, iniziando a fissare la crepa che si era aperta nel ghiaccio, dalla quale spuntava qualcosa di rosso.

- Lo vedi anche tu? - chiese Lui, indicando quel punto scarlatto che spiccava nell'immensità bianca dei ghiacci.

- Si, lo vedo. Ma... cos'è?

Lentamente la cosa color fuoco vivo si fece più grande, uscendo da sotto la superficie del lago ghiacciato, fino a formare una figura massiccia, che sbuffava e si scuoteva di dosso polvere bianca gelata e acqua a temperatura prossima allo zero.

- Vi ringrazio, amici. Vi ho sentiti arrivare, vi stavo aspettando!

- Non può essere! - esclamò Lei, fissandolo - Tu sembri proprio...

- Babbo Natale, al vostro servizio! - rispose l'uomo con la barba bianca e vestito di rosso - Circostanze che ora sarebbe troppo lungo spiegare mi hanno intrappolato laggiù - indicò il punto dove, fino a qualche minuto prima giaceva - ma grazie al vostro aiuto ora sono di nuovo libero.

- Ci fa piacere - intervenne Lei, con un'espressione leggermente sofferente sul viso - Però dobbiamo far presto... la notte sta già scendendo... - disse, osservando la prima Stella che brillava già nel cielo tinto dei colori del crepuscolo - ...e sento che ora il mio bambino ha fretta di nascere...

Presi da un'improvvisa agitazione, i due uomini si diedero da fare per liberare la slitta dal ghiaccio e, rimessala in direzione, con Babbo Natale alla guida, partirono subito per raggiungere un posto riparato, dove il bambino potesse venire alla luce.


- Qui sarete al sicuro - affermò Babbo Natale, le mani sui fianchi, e un sorriso che gli illuminava il volto, seminascosto dalla folta barba candida.

Li aveva portati in una grotta non molto lontano dal suo villaggio, dove le donne degli elfi già si stavano dando da fare per consentire a Lei di dare alla luce il suo bambino il più agevolmente possibile.

- Merrydyn sta portando le fasce, Gilgynne ha sistemato la culla... manca soltanto un po' di fuoco - disse Babbo Natale osservando la scena.

Senza aggiungere altro, si voltò, uscì dalla grotta, salì sulla slitta e sfrecciò via, in direzione della sua fabbrica.

Gli elfi riuniti all'esterno, che ancora spiavano dalle finestre quello che succedeva dentro, si voltarono al suo arrivo. Lo stavano aspettando, e limitarono le espressioni di gioia e di festa al minimo, perché il falso Babbo Natale non si accorgesse di nulla.

Il vero Babbo Natale sorrise a quel silenzioso bentornato. Poi si chinò e raccolse un pugno di neve, che sagomò a forma di sfera mano a mano che si avvicinava alla porta della fabbrica. Una volta di fronte la spalancò, e gettò dentro la palla di neve, che iniziò a brillare di tutti i colori dell'aurora boreale, poi divenne bianca come una stella appena nata, infine esplose in miliardi di scintille che lampeggiavano come fiocchi di neve attraversati dalla luce. Una luce che riempì ogni angolo della fabbrica, accecante, calda, piena di energia.

Come per magia la fabbrica iniziò a mutare, i macchinari moderni che la riempivano si trasformavano in quelli di un tempo, dalle forme buffe, simili a giocattoli. Anche l'aria sembrava riempirsi di calore, che sostituiva la fredda atmosfera di produttività in cui l'edificio sembrava immerso. Lo Spirito del Natale tornava a dominare quel luogo.

Quando la luce iniziò a diminuire, e la fabbrica di Babbo Natale tornò ad assumere le sembianze che aveva sempre avuto, ci fu un 'Urrà!' generale, urlato dalle bocche degli elfi, dei bambini che finalmente si sentivano liberi e pieni di una grazia mai provata, finanche da quella di Babbo Natale stesso che, per una volta, si lasciava prendere dall'euforia dimenticando il proprio consueto contegno.

Sulla poltrona in cui fino a poco prima sedeva Ben Dammon, coi suoi dolci e i suoi bilanci e proventi, giaceva un tronco rinsecchito dalla forma vagamente umana, i cui lineamenti parevano distorti in un'espressione di estrema sorpresa.

- Ora svelti, amici elfi! - disse Babbo Natale, guardando l'orologio e infilando nel suo sacco il tronco rinsecchito - Caricate la slitta, che il primo bambino a cui devo portare doni sta già nascendo!

Ubbidendo allegramente a quell'incitazione, gli elfi, seguiti dai bambini liberati, iniziarono a darsi da fare intorno alla slitta del vecchio.


- Maledizione! - sbuffò Geirrod, colpendo col palmo della mano un blocco di ghiaccio pendente dai rami di un albero - Anche stavolta ci è andata male!

- Si, stavolta c'eravamo quasi riusciti - commentò Bestla, scuotendo il capo - Quel tipo, Dammon, sembrava davvero avercela fatta, e lo Spirito del Natale prossimo alla totale scomparsa... ma la Coppia di Prescelti ci ha rovinato la festa!

I due Giganti di Ghiaccio, riassunte le loro sembianze demoniache, osservavano rassegnati la scena che si stava svolgendo poco lontano da loro: una processione di elfi e bambini, guidata da Babbo Natale, che si dirigeva verso la grotta dove, pochi giorni prima, avevano stretto il loro patto con Ben Dammon, e che adesso stava per diventare il luogo di una Natività.


Il gruppo allegro e gioioso si avvicinava alla grotta, con Babbo Natale in testa, che cantava una canzone piena di neve e speranza. Portava in mano uno scrigno dorato, e accanto a lui due elfi avevano similmente tra le mani dei contenitori preziosi. Dietro di loro veniva un esercito di nuovi elfi: i bambini che fino a poco prima lavoravano come schiavi nella fabbrica del falso Babbo Natale, e che adesso erano stati trasformati, come tutti gli elfi che li avevano preceduti, in Spiriti del Bene.

La processione arrivò alla grotta e si fermò all'esterno, formando un semicerchio che la proteggeva dal freddo e dalle tenebre. Babbo Natale e i due elfi con gli scrigni entrarono. Un sorriso si dipinse sul volto del vecchio, e guardando bene si sarebbe potuta vedere una lacrima bagnargli la guancia.

- Benvenuto, piccolo Re - mormorò, fissando il bambino appena nato, avvolto nelle fasce in braccio alla madre, che ricambiava il sorriso.

Babbo Natale lo accarezzò sulla guancia con una delicatezza che si sarebbe creduta impensabile in un uomo di quella stazza, poi accarezzò la testa della madre, e si chinò, togliendo dalla sacca il tronco rinsecchito che aveva portato con sé.

Schioccò il pollice contro l'indice, e una scintilla sprizzò, cadendo sui rami contorti di quello che un tempo era Ben Dammon, che iniziò ad ardere riscaldando la grotta da dove lo Spirito del Natale, come ogni anno, si spargeva per il mondo.

Buon Natale

e

Felice 2011

da

Robi & Samy

09/12/10

In My Life

C’erano volti e cose e strade, e gli alberi nei viali, e il sussurro delle api che ronzavano nei pomeriggi d’estate, quando il pallone sbatteva contro il muro, e Franceschino parava i rigori da tre metri di distanza, e Francescone aveva la collezione completa dei tascabili di Charlie Brown, e c’era il sottile dispiacere della fine del pomeriggio, e il richiamo della notte che avrebbe portato un altro giorno di quaderni e matite, e un altro albo dell’Incredibile Devil che mi avrebbe comprato mio padre.

Sono cresciuto in mezzo a cuori di cristallo.

E li proteggo dentro il mio.

Oggi danno il benvenuto a un Nuovo Giorno.

Al Sole che splende in Menlove Avenue, Liverpool, UK.

And these mem’ries lose their meaning...

29/11/10

Dear Prudence

C’è un uomo, cammina sull’acqua.

Non è il Redentore, cammina sotto il Sole.

E’ luminoso dentro quei neri panni.

Un uomo, toglie i Ray Ban scuri, apre gli occhi e sorride al Sole.

A Liverpool.

The Sun is up, the sky is blue...

28/11/10

Per Sempre

 

Per Sempre

Il profumo del tempo mi tiene per mano,

coi suoi petali soffici che sorridono al sole.

Mi siedo a guardare le ore

far crescere il fiore delicato nel

giardino dei miei desideri cercati

e trovati

con Te.


E' scritto sul bordo di questo sguardo fragile,

che fissa il futuro incredulo

mai sazio di secondi e di anni

e di Te.


E' nel canto di infiniti momenti che hanno

il mio nome, birichini e signorine

che vedrò crescere

in Te.


Credimi quando prego senza voce,

perché soltanto il silenzio

deve ascoltare i miei respiri,

e Tu,

coperta di promesse e vestita di bianco,

coi piedi nudi che toccano

leggeri

il prato dove costruirò

il nostro letto immortale.


C'è un albero di mesi in fioritura

a far ombra al porticato,

melodie napoletane sussurrate e gentili,

colline di speranza verdi anche in inverno,

e i nostri figli capiranno ogni parola,

che sia portata dal vento,

scorra fra i ciottoli dei ruscelli,

guardi il mare ballare,

accarezzi le nostre labbra

che hanno detto "si" alla vita,

al futuro, al blu dei cieli puri,

alle albe di giorni sempre nuovi,

all'adesso e all'infinito,

e le unisca

Per Sempre.

TI AMO Samanta

Buon 28 Novembre Amore Mio

Il Tuo

Robi

Nirvana

Nirvana

Vortici di schiuma di mare portano in superficie ciò che di me ancora era immerso nella notte.

Solletica la pelle, l’acqua frizzante della Nuova Fonte, mentre mi spinge sulle sponde dell’Io.

Sento il Vento correre attraverso il Destino.

Il Sole mi attende. Il Suo Fuoco riscalda la Strada della Vita.

La Terra sotto di me sembra prepararsi all’esplosione del Mondo. Scalpita, mi incita a saltare, mi spinge verso il Cielo. L’arroganza delle Nuvole accerchiate dall’umile soffio caldo del piacere della Scoperta è l’essenza dell’ultimo Viaggio.

Stacco in volo e sento il sangue pulsare come fosse un toro in preda all’ira.

Le membra sottili fluiscono radiose nell’Aria tersa dell’Estate Infinita, Sogno divenuto Realtà.

Ascolto la Musica dei Sensi, dolce Melodia del Tempo che porge piano il suo Braccio virtuoso al Futuro imminente.

Respiro e inalo la Grazia profumata dai Fiori d’Arancio sparsi tra Sentieri di Stelle.

Guardo dall’Infinito la mia vecchia vita, la baratto con la Nuova piena di rinata Coscienza.

Non c’è Luce che non lanci sospiri di Lui, mentre mi avvolgo tra Lenzuola di Speranza divenuta Certezza.

Alzo gli occhi verso l’Alto. Lo vedo.

Turbini di Meraviglie si spalancano ad accogliermi nella Nuova Era. I Cancelli si spalancano a sorprendere il Mare di Desideri che colmano la mia Anima di Visioni concitate.

Gusto il sapore della Sua – Nostra! – impazienza. Mi aspetta.

Guarda ridendo il mio avanzare attraverso la Porta dell’Universo creato per NOI.

Sorrido, abbraccio l’Altare Rosso che mi ha preparato. Lo tocco.

Sento l’Estasi inglobare ogni cellula della mia Volontà, essere Sua è ciò che voglio.

Sono da Lui. Lo stato di Grazia e di Pace che mi circonda, spoglia gli abissi della mia vecchia esistenza.

Ho finalmente raggiunto il Nirvana. E Lui mi accoglie tra le braccia infinite della sua Perfezione.

 

TI AMO Roberto

 

Buon 28 Novembre Amore Mio

 

La Tua

Samanta

26/11/10

La casa di Mykonos

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Luca, Carla, Gloria e Stefano erano due coppie legatissime. Luca e Stefano si conoscevano fin dalle scuole medie, e nei quindici anni successivi, rimasero amici per la pelle. Erano in macchina insieme, due anni prima, quando scorsero in un gruppo di ragazzine Gloria e Carla. Loro erano inseparabili dai tempi del liceo, e considerando che, quando conobbero i due ragazzi avevano appena vent'anni, la loro amicizia poteva considerarsi ben più giovane, ma non meno forte rispetto a quella di Luca e Stefano.

Dal momento in cui i quattro ragazzi iniziarono a frequentarsi, e le coppie Luca e Stefano/Carla e Gloria, si trasformarono in Luca e Gloria/Stefano e Carla, non ci fu una sola volta in cui non uscirono insieme: dalle cene alla discoteca, dalle passeggiate mano nella mano alle corse nel parco… sempre insieme. Anche l’amore facevano insieme, ma in camere differenti, non pensate male.

Quell’anno decisero che un viaggio all’estero per le vacanze di agosto, sarebbe stata un’esperienza divertente. L’ideale dopo dodici mesi di stress quotidiani, incamerati tra l’università per le ragazze, e il negozio di telefonia che i loro partner gestivano.

Non avevano un budget tanto alto, le ragazze dipendevano dai genitori, e con quello che Luca e Stefano guadagnavano portando avanti il negozio, ci ricavano giusto le spese e qualche uscita: risparmi pochissimi.

- Ma allora che si fa? Io non voglio rinunciarci, eravamo così entusiasti prima di iniziare a sfogliare i cataloghi… - disse Carla mettendo il broncio.

- Ma come possiamo fare? Guarda qui che prezzi, anche se volessimo prendere un residence, rinunciando all’hotel, con quello che costano i trasporti, lì riusciremmo a stento a mangiare, addio divertimenti! – osservò Luca indicando avvilito il listino prezzi dei residence.

- Ormai anche la Croazia è carissima… dobbiamo trovare qualche meta più economica, altrimenti anche quest’anno si resta a casa ragazzi – aggiunse Stefano.

- Ho un’idea! – esclamò Gloria illuminandosi in viso – la Grecia!

- Ma sei matta? Le isole greche hanno alzato la posta già da diversi anni, e un alloggio lì ci costerebbe troppo, non se ne parla! – asserì il fidanzato - Che ne dite di informarci sulla Costa Brava? Forse potremmo…

- No! – insistette Gloria – fammi finire! Mi sono ricordata che in Grecia l’anno scorso ci andò Katia… te la ricordi, Carla? – la ragazza fece cenno di sì con il capo – Ebbene, Katia mi disse che avevano alloggiato in sei con soli trenta euro al giorno!

- E dove sono andati, nelle fogne di Atene? – chiese ironico Stefano, provocando un'immediata risatina da parte degli altri.

- Hanno alloggiato in una confortevolissima casa, proprio sul mare tra l’altro! – i ragazzi la guardarono scettici – vi dico di si, ho visto le foto! Pare che il suo ragazzo conoscesse un mediatore locale, a… Mykonos! si, era Mikonos, e così hanno dovuto pagare solo il viaggio in nave… la casa gli è costata cinque euro al giorno a testa!

Dopo qualche altra battutina ironica da parte degli amici, la ragazza si decise a chiamare Katia, in modo da confermare agli altri tutti i particolari in tempo reale. Una volta convinti, ai ragazzi non parve vero: con immediata euforia decisero che la meta delle loro vacanze sarebbe stata Mykonos.


All’arrivo sull’isola, dopo un viaggio di quasi quaranta ore a bordo di una nave iper affollata, dove furono costretti a sedersi a terra e sorbire fragranze terribili di gente non propriamente profumata, trovarono il mediatore ad aspettarli giù al porto, come stabilito.

L’uomo, che si presentò come Pantelis Papastathopoulos - nome che i ragazzi dimenticarono due secondi dopo che lui l'ebbe pronunciato - aveva una faccia perennemente imbronciata, ma innocua, incorniciata da una barba nera e ispida, poco curata, stile giochi olimpici del 776 a.c. Poteva avere intorno ai quarant'anni, altezza poco sotto la media e grassoccio.

Pantelis lì portò a vedere una casa sita al primo piano di un delizioso palazzetto bianco e azzurro, posto proprio di fronte al mare. La casa affacciava su due lati: la cucina e il bagno sulla strada, le due camere da letto sul mare. Ai ragazzi sembrò un sogno. La casa era pulita e spaziosa, a due passi dalla spiaggia e dalle principali attrattive dell’isola, e gli sarebbe costata solo venti euro al giorno!

Si sistemarono pagando in anticipo i duecentottanta euro per il fitto, più venti di mancia per il mediatore.

- Non ci credo! Con soli settantacinque euro a testa abbiamo una meravigliosa casa per due settimane! – esclamò Gloria fibrillante, mentre si lasciava cadere sul letto – questa sarà la nostra stanza amore mio, mi piace così tanto! – continuò rivolgendosi a Luca.

- Eh no bella mia – scattò Carla come una furia – questa stanza ha l’armadio più grande e la voglio io! Siamo appena arrivati e già vuoi comandare?

I tre amici la guardarono perplessi: Carla aveva una personalità molto dolce, non si arrabbiava facilmente, e un’uscita del genere stupì un po’ tutti.

- Questa stanza l’ho presa prima io, e ci resto! Arrangiati! – rispose Gloria con lo stesso tono aspro.

- Hey belle, ma che vi prende? - disse Stefano, cercando di placare l'atmosfera di tensione che si stava creando. Le ragazze non avevano mai litigato, e quel battibecco gli sembrò del tutto fuori luogo – l’armadio ha solo due cassetti in più, che importa chi la prende? Se Gloria ci tiene ad averla, gliela cediamo… dopotutto l’altra stanza è anche un po’ più grande… c’è più aria… - Carla lanciò un’occhiata assassina al fidanzato, ed uscì sbattendo la porta.

Cenarono con un kebab comprato all’angolo della strada, in silenzio, ognuno per i fatti suoi. Era la prima volta che succedeva. Fra loro quattro non erano mai mancate le chiacchiere, e soprattutto l’armonia. Attribuirono quella poca voglia di parlare e di guardarsi alla stanchezza del viaggio, ed andarono a letto.

Nei giorni successivi invece la situazione andava di male in peggio: ogni occasione era buona per discutere. Nella maggior parte dei casi, Carla e Stefano accusavano gli amici di svuotare durante la notte il frigorifero dalle provviste comprate in comune, facendo apposta rumore per svegliarli. Gloria e Luca negavano fermamente, controbattendo che volevano attribuire loro colpe di cui Stefano e Carla stessi erano artefici.

- Dovete smettere di venire a spiarci di notte, credete che non vi sentiamo aprire la porta e fissarci, facendo delle sciocche risatine del cazzo? – disse Gloria una mattina a colazione.

- Questa è bella! Sai che spettacolo guardare il tuo ragazzo russare! – rispose Carla ridendo isterica.

- Idiota! Proprio stanotte ti sei anche avvicinata al letto, ti ho sentita sai? E subito dopo Luca si è svegliato dicendo d’aver sentito il tuo respiro sul viso e… ti sei anche permessa di infilargli una mano tra le gambe!

- Cosa? – esclamò Carla esterrefatta.

- Hai detto questo della mia ragazza, stupido coglione? Ti sarebbe piaciuto vero? – disse Stefano schiumante di rabbia, mentre si avventava sull’amico.

- Lo ha fatto, lo ha fatto! Evidentemente tu non le basti, te l’ho detto dal primo momento in cui l’ho vista che aveva l’aria di una puttanella! – esclamò Luca ridendo di scherno.

Stefano non ci pensò due volte, afferrò l’amico per la gola, tentando di soffocarlo mentre l'altro cercava di liberarsi dalla stretta. Le due ragazze urlavano tirandolo via, era tutto un caos.

Un vento improvviso nella stanza sibilò un'eco ultraterrena, fermando in un istante tutto l’inferno che si era scatenato lì dentro.

- Avete sentito anche voi? – chiese Stefano rabbrividendo, lasciando il collo dell’amico e guardandosi intorno.

Ci fu silenzio negli interminabili attimi successivi. Si erano tutti seduti intorno alla tavola, e rimanevano muti, con mille voci che risuonavano nelle loro teste.

- Ragazzi… qui c’è qualcosa di strano. Siamo amici da anni, e non abbiamo mai discusso, né tantomeno litigato… ci troviamo qui da cinque giorni e già passiamo alle mani… - asserì Luca con la faccia seria e pallida, ancora sconvolto dalla furia dell’amico prima, e da quello strano vento poi.

- E se ci fosse una qualche… presenza? – chiese Gloria impaurita stringendosi al suo ragazzo.

- Shhhh, non diciamolo. Non lo so cosa sia. Probabilmente è solo suggestione, ma… potete giurare che non ci nascondete le cose per provocarci e farci arrabbiare? – disse Stefano ai due amici, cercando di fare il punto sulla reale situazione che li vedeva tutti coinvolti.

Tutti giurarono e spergiurarono reciprocamente di non aver mai toccato nulla che non fosse di loro proprietà.

- Bene. A questo punto è quasi una certezza. Stamattina è sparito il mio orologio, facciamo una prova – asserì ancora Stefano. Poi, guardando il vuoto aggiunse:

- Chiunque o qualunque cosa tu sia, se vuoi dirci che siamo di troppo, restituiscici le nostre cose. Noi adesso andiamo al mare, al nostro ritorno facci trovare tutte quello che hai preso.

Nessuno osò dire altro. Si limitavano a guardarsi l'un l'altro interrogativi, sembrava che tra loro fosse tornata la calma. Uscirono di casa andando in spiaggia, così come avevano detto. Non si divertirono molto, facevano solo scorrere il tempo. Rimasero per lo più al bar della spiaggia, chiedendosi ogni tre minuti che ora fosse.

- Le cinque - disse infine Stefano - Andiamo.

Si alzarono tutti insieme e tornarono verso casa con le gambe tremanti, i visi stravolti e pallidi. Entrando nella piccola sala che fungeva da ingresso ebbero l'impressione fosse tutto a posto, solo l’aria più plumbea e viziata del solito, più pesante e irreale. C’era puzza di acqua stagnante mischiata ad un odore dolce, simile a quello della vaniglia.

I ragazzi andarono per prima cosa nelle loro stanze. Tutto in ordine, come le avevano lasciate. Non facevano un solo passo se non erano tutti e quattro insieme.

Stefano rimaneva sempre davanti al gruppo. Tutti, senza parlare, quasi trattenendo il respiro, seguivano ogni suo passo.

- Sembra non ci sia niente di strano ragazzi, forse ci siamo lasciati prendere un po’ troppo dalla suggestione – disse senza tanta convinzione il ‘capogruppo’ avanzando nel corridoio che dalle stanze portava in cucina.

Stefano tirò quasi un sospiro di sollievo – o di incoraggiamento – camminando con passo più sicuro di quello di prima. Spalancò la porta, e la sua sicurezza venne immediatamente a mancare, lasciando posto ad un tremito delle gambe che gli impediva di attraversare l’uscio.

- Oh mio Dio… - esclamò guardando pallido gli amici, che si affrettarono a lanciare uno sguardo terrorizzato in cucina.

- Quelle… quelle sono le… le… nos… nostre cose? – chiese Gloria piagnucolando.

- Che diavolo ci fanno sul tavolo della cucina? – aggiunse Luca con un filo di voce.

- Ragazzi… prendiamo tutto e andiamo via… subito! – suggerì Carla che sembrava essere rimasta la più lucida del gruppo.

- Si, andiamo – disse Stefano avanzando - Meglio non rimanere un secondo di più in questo posto maledetto!

Aprirono velocemente le valige sulle sedie, lanciando dentro a casaccio la roba raggruppata sul tavolo, senza dare importanza a chi appartenesse.

Di nuovo quel vento sibilante li sorprese, anche se le finestre erano chiuse.

- Sbrighiamoci! – urlò Gloria.

I cassetti e i pensili cominciarono ad aprirsi, e le cose contenute in essi precipitavano andando in pezzi, per poi ricomporsi a terra. Le sedie si muovevano facendo cadere le valige, e un coltello cominciò a vagare vicino la finestra ed avanzare verso di loro.

A forza di grida di terrore ed incoraggiamenti reciproci, i ragazzi riuscirono ad uscire dall'appartamento. Avevano preso il possibile, ed erano corsi via seguiti da una voce deridente, che non riuscivano a capire da dove provenisse.

Uscirono dal palazzo correndo, il terrore aveva abolito la fatica. Quando si fermarono per riprendere fiato, erano abbastanza distanti da ritenersi in salvo, ma potevano ancora vedere bene le finestre della casa in cui avevano abitato quei pochi giorni.

- L’abbiamo scampata bella! – disse Luca affannato, mentre rimaneva chino con le mani sulle ginocchia.

- Già… guardate lì… - continuò Stefano, fissando in direzione della casa con gli occhi spalancati, pallido come un cadavere, il sudore che sgorgava da ogni parte del suo viso.

I ragazzi si voltarono verso il palazzo, e le finestre di quella casa erano spalancate. Dietro quella della cucina, si poteva chiaramente scorgere una donna dai lunghi capelli neri pendolanti sul seno; addosso aveva una veste bianca, e il volto ancora più pallido. Li fissava in maniera sinistra, e con la testa faceva cenno di no.

24/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XVI

16.

Prologo a Domani

Nell'abbraccio che ha unito le Voci nella Notte,

ne ha nutrito lo sciogliersi in Sospiri di Panna,

leggere Foglie che si aprono al Sole

cantano.

Questa è la Nota Dorata del Sempre presente,

e il tintinnìo VerdeRosa sull'Ancora che scende

penetrando dal Cielo nei Flutti

caldi.


Profumo di sale marino e Fiori di Vedetta,

che guardano aprirsi le dolci correnti,

dall'Albero Maestro alla Fine del Tempo

un unico grido risuona nella Nave:

"Sei mia!"

 

Sono Tua.

Tra Note Dorate e Nuvole di Sogni.

Lo sarò per Sempre.

21/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XV

15.

I Colori del Mattino

Il Mattino ha preparato per te

un risveglio al profumo di Mare,

nell’incanto della notte

che svanisce nei Flutti

VerdeRosa dove hai gettato

l’Ancora dei Sogni Marmorei

dipinti da una Forza senza fine.

Intreccia il gusto salato della

Brina nata sull’Albero Maestro

al dolce Succo di Rugiada mattutina

ancora assopito dal Calore

delle Parole Dorate.

Mischia il Blu del Nuovo Cielo

al Verde della Potenza d’Oceano.

L’Odore del Vento è ancora

attaccato alla Marea,

prima che svanisca

rendilo Infinito.

 

Mi tuffo nell'abbraccio Infinito del Mattino,

immerso nell'ebbrezza VerdeOro che sa di sale di Mare,

di Brezza di Vento,

fremendo mi schianto come

un'Onda Marmorea alle Porte dell'Alba.

Con quell'Odore attaccato al

Per Sempre.

18/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XIV

14.

Metafore d'Oro

Nel Marmo del Risveglio

poche gocce di Pioggia,

in attesa sul bordo della Coscienza,

che pian piano va via,

volando in volute profumate
di Sogni vestiti di pelle,

accarezzati dalla Lama sottile,

dai gioielli sbarazzini VerdeRosa,

dalle mani che si aggrappano

ai Tasti e ne traggono

Melodie di Miele.

Veli Blu mossi dal Vento,

disegnano arabeschi di Catena;

ancora trattenuto il respiro,

ancora

e ancora.

Preparami un Mattino

caldo di Parole,

ho voglia di bere

Metafore d'Oro.

 

Nel Marmo ancora bagnato di Pioggia

scolpirò i Tuoi Sogni

facendone Realtà.

15/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XIII







13.

L'Anello di Fuoco

Sciogli i sospiri fasciati d'Argento,

fluidi lungo la Linea dolce dove si posa

una Lama sottile di parole,

lasciali giocare,

falli muovere a tempo

coi Vortici in Fiamme,

mentre il

Vertice della Vita

salta nell'Anello di Fuoco.

Dorata Rugiada

sulle Labbra.

Giochi nuziali

e il Contratto del Re.

Un ciondolo siglato

col Tuo Nome e il Mio

danza sulle tue caviglie.

E Tu canti la

Canzone

dell'Estate Infinita.

Senza respiro.

 

Sciolgo quei sospiri sussurrando la Canzone dell'Estate,

che suona dieci note strette intorno al Vertice della Vita.

Mentre la Rugiada Dorata accarezza la Grotta di Fuoco,

e i Cancelli aperti accolgono la Tua Volontà.

 

Senza respiro

ti chiedo di tuffarti

nel rosso profondo

della mia Anima.

Accetta i miei Doni

regalandomi il Legno Pregiato

della tua Passione,

offrimi le tue Calde Parole

intrecciate all’Alba di Fuoco

dei miei sospiri.

Muoviti tra le Fiamme

del mio DNA che ti appartiene.

Vestiti della mia Canzone

e fanne ciò che vuoi.

 

Emozioni Blu senza respiro, accolte dall'Anima arrossata,

ma ancora non sazia, e ancora ebbra dei Doni ricevuti,

e quelli da ricevere.

Un ordine e il Legno Pregiato scivola sull'Onda

incurvata dal Vento,

forte e profondo nell'Alba di Fuoco dei tuoi sospiri,

penetrando la Genetica della Tua Canzone,

e legandola a sé con la Dorata Catena del Comando.

Ti prendo e faccio di Te la mia Casa.

12/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XII

12.

La Danza del Mattino

Il Mattino apre le Porte, aera le Stanze,

battute da Venti sbarazzini e Gocce di Pioggia Dorata,

spazza il Pavimento dall'incantamento

di un attimo, per rendere Eterno il sospiro

di una Musica suonata a due Mani,

Dieci Dita scorrono sulla Tastiera,

a piedi nudi la Lama d'Argento

s'incammina sul Ponte Levatoio.

E' Festa,

la Festa del Rinnovamento,

e il Castello si riempie

di Bianchi sorrisi,

e brindisi di Lava

infuocata.

La Musica suonata a due mani,

si sente in tutte le Porte del Castello.

La Lama d'Argento diventa rovente per l'occasione.

Il Ponte Levatoio che sorregge i suoi Passi va a Fuoco.

 

Le Danze sono appena cominciate.

il Tamburo batte il Ritmo

nella soave Melodia della Vita

lasciando che la Musica

riecheggi in tutte le Stanze

della Casa.

Il Brindisi continua

facendo scorrere il Fuoco

della sua Lava incandescente

sui Cancelli Segreti,

sbattuti dal Vento feroce

dei sospiri Padroni del Re.

 

Le Stanze della Casa si riempiono di Armonie e Note,

i danzatori prendono posto al centro della pista,

vestiti di Colori che profumano di Domani,

pronti a battere il pavimento coi Passi

di un Tango sudato e bagnato

dal Brindisi di Lava incandescente e Pioggia d'Oro.

Il Vento feroce batte i Cancelli Segreti,

i sospiri Padroni esigono di entrare nel Castello

dove attende la Sposa Promessa.

09/11/10

Poesie d’Oro e d’Argento XI

11.

E' Festa nella Casa del Re

Il sospiro del Mattino

Profuma l’Alba di Vita.

Il Giorno Nuovo prepara le Stanze

All’arrivo del Sole,

ancora sdraiato sul Monte della Dea.

Il Ponte Levatoio si cala

Sulla Bocca del Lago incantato,

spianando la discesa della

Pioggia d’Oro nella Grotta di Fuoco.

I Cavalieri varcano le Porte del Castello,

la Marcia della Sera è appena cominciata.

È festa a Casa del Re.

La Casa è pronta a ricevere gli Ospiti.

 

Nel Rinnovamento del Mattino

la Vita si tuffa nell'Oceano Dorato,

e il Sole, ancora sdraiato sul Monte della Dea,

bagna di Luce le Porte del Castello.

E' Festa nella Casa del Re,

per il Padrone e la sua Regina.

06/11/10

Liverpool

The Bangles
Going Down to Liverpool

Piove. Certo, piove spesso, e allora? La pioggia non bagna, soltanto, ma lava e pulisce.

E ci sono un sacco di posti pieni di sole, e di Persone che ti salvano la vita.

Tipo Liverpool.

 

Vado a Liverpool, a fare nulla di particolare, come sempre, come tutti i giorni. Vado a vivere

 

Sto delirando? Ma che dite!?

Mai stato più sano in vita mia. ;)

03/11/10

Notte d’Estate

Notte d'Estate firma

Calde notti in quest’Estate

di Stelle cadenti respirano

profumi d’Uragani silenziosi.

 

Non vogliamo che il silenzio

rubi Luce ai Desideri

- fiamme d’oro che s’abbracciano

tra sussurri di Vita –

Vogliamo sentire il Mare spingersi

oltre l’Orizzonte.

31/10/10

…come musica

Un racconto di Halloween

Aprì la cassetta della posta, come tutte le sere, tornando dal lavoro, ed estrasse il contenuto senza nemmeno guardarlo, diretto al suo monolocale in fondo al corridoio.

Una volta entrato accese la tv, per avere un po' di compagnia, e si buttò sulla poltrona coi braccioli consumati, sospirando.

- Un'altra giornata finita...

Pierre viveva da solo nel piccolo appartamento in un'anonima palazzina della periferia di New Orleans, e a quasi 55 anni suonati non sperava di trovare a breve termine un, o una coinquilina. Nemmeno nella vita.

Finalmente si decise a controllare la posta della giornata, stupendosi di trovare in mezzo ai soliti depliant pubblicitari, un piccolo pacchetto quadrato che, a un'esame superficiale, pareva contenere qualcosa di rigido. Infatti era un CD musicale. La copertina raffigurava un paesaggio esotico - una vista su un oceano dipinto a colori sgargianti - coronata dal nome dell'artista, o gruppo che fosse quel Denzel Notes.

- Che roba è? Non ricordo di aver ordinato dischi ultimamente...

Naturalmente era da escludere l'ipotesi di un regalo, i pochi conoscenti che aveva non sapevano nemmeno la data del suo compleanno, figurarsi mandargli un presente in un giorno qualunque di un mese qualunque di un anno qualunque della sua monotona esistenza. Il mistero veniva accresciuto dal fatto che sulla busta non c'era mittente.

- Sentiamo un po' cos'è questa roba.

Mise il disco nel lettore DVD sotto la tv - non aveva un impianto stereo autonomo - e tornò a sedere. Le prime note gli fecero storcere il naso: era musica elettronica, blandamente ritmata, con poca melodia e una voce salmodiante frasi incomprensibili. Quella roba più tranquilla che i giovani ascoltano in discoteca dopo una notte di danze sfrenate. A Pierre, che adorava John Denver e le sonate per piano di Schubert quella musica risultava un po' indigesta. Ma dopo un po' si abituò a lasciarsi cullare dal ritmo ipnotico e minimalista, dalla voce che sembrava recitare una preghiera in una lingua gutturale, lentamente si appisolò, e così rimase fino alla mattina successiva.

Nonostante avesse dormito sulla poltrona, e vestito per giunta, si svegliò pieno di vigore, come non gli succedeva da tempo, e pronto a conquistare il mondo. Uscì tutto baldanzoso e saltellante dal portone della palazzina, e per poco non dovette dare addio a quel mondo, prima di avere fatto qualunque cosa per conquistarlo: l'autobus delle 7.30 frenò a pochi centimetri da lui, e l'autista lo apostrofò con un gesto e una parola irripetibili.

Quello fu il primo di una serie di eventi che, anche se in chiave alquanto negativa, animarono nei giorni successivi il trascorrere monotono della vita di Pierre Quixote, operaio generico senza nessuna specializzazione: rischiò di tagliarsi via un dito mentre si preparava un sandwich al pollo con pane integrale; il gatto della signora Matisse scambiò i suoi pochi capelli per un tappetino, grattando via ampi lembi di pelle dalla testa di Pierre; Willy, il figlio dei Drummond, passò in bicicletta sopra la sua caviglia, mentre era inginocchiato a potare il rododendro del cortile comune; una scala, con tanto di Todd Kinder, il tecnico tuttofare del quartiere, gli rovinò addosso, e Todd lo accusò di aver provocato quell'incidente, convincendolo grazie alla propria dialettica, alla maggiore stazza, e ai vicini pronti a testimoniare a suo favore, a pagare i danni fisici e morali subiti, oltre al pezzo di grondaia al quale si era vanamente aggrappato nel tentativo di non cadere.

Al termine di quella sequenza di eventi Pierre era estremamente demoralizzato. Nonostante avesse una vita alquanto triste e piatta, una settimana così devastante non gli era mai capitata.

- E pensare che ero così pieno di energie, dopo aver ascoltato quel CD!

Un'idea improvvisa, come una luce che si accendeva nel suo cervello, lo illuminò: il primo incidente era accaduto proprio la mattina dopo aver ascoltato la musica contenuta nel disco arrivato per posta. Aveva continuato a suonare il CD anche nei giorni successivi, quelli in cui gli erano capitate le altre disavventure. Colpito da quell'idea, che poteva sembrare folle, ma spiegava molte cose, prese la custodia del disco. Non aveva ancora prestato molta attenzione ai titoli delle canzoni, limitandosi a inserire il CD nel lettore e pigiare il tasto 'play'. Mentre scorreva i titoli, un brivido gli percorreva la schiena: Bus Crash; Dancing Severed Finger; Head of the Cat; The Bike That Kills; Squeezing Big Man!

Ognuna di quelle canzoni era connessa a uno degli episodi che gli erano capitati. Sembrava impossibile, ma aveva quei titoli sotto gli occhi, e li rileggeva cercando di capire se stesse sognando, oppure doveva trovare una spiegazione più o meno razionale a tutto ciò. Essendo nato e cresciuto a New Orleans aveva visto tante dimostrazioni di fenomeni inspiegabili coi parametri della logica, e anche se rimaneva piuttosto scettico nei confronti del paranormale, non lo escludeva a priori. Magie, incantesimi, canti cerimoniali... ebbe un'altra illuminazione.

Prese il CD e corse al primo piano, dove abitava Pat "Redmoon" con il figlio adolescente, patito di computer. A quell'ora la "rossa" era fuori a 'lavorare', e Webber, il figlio, era solo in casa. Pierre gli chiese se fosse possibile, magari con qualche marchingegno tecnologico di cui il ragazzo sembrava espertissimo, ascoltare le canzoni del disco al contrario.

- Sgancia 500 verdoni, e ti leggo anche i pensieri al contrario, bello! - esclamò il giovane.

Senza nemmeno tentare di trattare quel prezzo assurdo, Pierre gli porse il CD. In pochi minuti Webber aveva estratto le tracce audio, editate con un software specifico, ed era pronto a masterizzarle in un nuovo CD per farle ascoltare all'ospite.

Tornato nel suo appartamento, Pierre si preparò ad avere la conferma o la smentita ai suoi dubbi. Già alla prima traccia si rese conto di avere ragione: la voce gutturale salmodiante, ascoltata al contrario, era una nitida e chiara voce di donna che parlava in perfetto inglese, anche se con un leggero accento del nord, raccontando per filo e per segno quegli eventi che gli erano capitati. Quindi quel CD conteneva una sorta di maledizione, rivolta a... lui? Pierre era sconvolto, non conosceva nessuno che potesse avercela con lui, in vita sua non aveva mai fatto male a una mosca. Continuava ad ascoltare quella voce sinistra coperta dal rumore elettronico degli strumenti che, riversati nei toni, sembravano dissonanti. Arrivò finalmente l'ultima canzone, quella che non pareva descrivere alcun evento capitatogli. Il titolo era Pauline Wants You, e la voce, in quel pezzo, recitava una specie di richiamo:

Pauline ti vuole, ti aspetta, ti chiama, sotto l'oleandro antico che fa ombra ai guardiani delle tenebre...

Pierre seguiva quelle parole cercando un nesso con la realtà, che non tardò ad arrivare: si rese conto che esisteva un luogo come quello descritto nei versi della canzone. Un cimitero reso famoso diversi anni prima da un fatto di cronaca che fece discutere a lungo, l'omicidio di una giovane avvenuto all'interno di una villa proprio a ridosso di quel cimitero. Anche se era un fatto successo anni prima, Pierre ricordava le immagini della tomba della ragazza, che riempirono per settimane le prime pagine dei giornali e dei notiziari tv. Quella tomba era sormontata da due statue di gargoyle - i guardiani delle tenebre - e sopra svettavano le fronde di un oleandro secolare!

Preso da un'eccitazione incontenibile, afferrò la giacca e uscì di casa, diretto al cimitero, che non era molto distante dal quartiere in cui abitava.

Varcò il cancello d'ingresso dopo pochi minuti di una corsa affannosa che lo lasciò senza fiato. Il cimitero era vasto, e lui non ricordava dove fosse la tomba della ragazza, ma qualcosa lo spingeva in una precisa direzione, forse l'incantesimo contenuto nella musica che ancora gli risuonava nelle orecchie.

E finalmente la trovò. Sotto l'ombra dell'oleandro gigantesco, protetta da due statue di demoni rocciosi e inquietanti, con un nome ancora ben visibile sulla lapide: Pauline de la Dalene!

E c'era qualcos'altro accanto alla tomba, anzi, qualcuno. Pierre sollevò lo sguardo incrociando un paio di occhi chiari e smorti, infossati nelle orbite bluastre, come se il tempo li avesse ricoperti di una patina opaca e ripugnante, simile a bava di ragno. Il volto era ricoperto da una fitta trama di rughe profonde, e la pelle sembrava simile a quella delle mummie, traslucida e disseccata. Ma la cosa più sinistra era il sorriso che si apriva tagliando in due la parte inferiore del volto della donna: una linea sottile e rossa come sangue.

Pierre cercò di sostenere quella vista, ma già sentiva il cuore andare in fibrillazione. Si portò le mani al petto, mentre il respiro cominciava a mancargli. Riuscì a malapena a scorgere il sorriso sul volto della donna trasformarsi in un ghigno, poi, con un singulto e gli occhi spalancati, perse prima i sensi, e poi la vita.

- Fiamme dell'Inferno! - esclamò la donna avvicinandosi al corpo esanime di Pierre - Questo non è lui!

Si chinò e tastò nelle tasche della giacca dell'uomo, estraendo il portafogli con i documenti. Mentre li esaminava un'ombra di fastidio gli attraversava le rughe del viso rendendolo ancora più ributtante.

- Pierre Quixote... il nome è lo stesso... ma l'indirizzo... maledizione a quelli delle poste! Hanno portato il mio incantesimo di morte alla persona sbagliata!

Con fastidio lanciò lontano il portafogli e sferrò un rabbioso calcio al cadavere ai suoi piedi. Poi si appoggiò alla lapide e, sbuffando scuotendo al testa, la colpì cinque volte col pugno.

- Luketto! Diavolo di un demonio di classe C! Abbiamo sbagliato uomo, mi serve un'altra compilation bollente da laggiù!

- Presto fatto! - replicò una voce bassa e piena di eco, che sembrava provenire dalle profondità della Terra.

Ad essa seguì qualcosa che, facendosi strada tra le zolle che ricoprivano la tomba, sfrecciò direttamente in mano alla donna. Un CD.

- Grazie, mio bel Luketto. Posso sempre contare su di te - disse Pauline de la Dalene, battendo la punta delle dita avvizzite sulla custodia del CD.

- A tua disposizione, come sempre - rispose la voce dagli abissi infernali - e comunque, per quanto tu abbia sbagliato, alla fine gli hai fatto un piacere a quel tipo. Aveva una vita così insignificante che nemmeno i dannati avrebbero voluto essere al posto suo!

- Confermo - era la voce di Pierre, che proveniva dalle profondità, finalmente libera dal fardello dell'esistenza mortale.

musica INV

28/10/10

Canzona ‘e passion’

canzona samy watermark

Galligg’ ‘ncopp’ all’onn’

e guardace a luntan’.

Sentinella ‘e chistu mar’

accort ca nisciuno

trase into a ‘sti suspiri

‘e luna chiena.

L’ammore mio me sta strignenno forte

e io m’addormo ‘mbraccio a isso

ca governa ‘a vita mia,

e cu nu’ filo ‘e respiro ‘nnammurato

c’ canto ‘sta canzona c’addora ‘e passione.

 

(Galleggia sulle onde

E guardaci da lontano.

Sentinella di questo mare

Attenta che nessuno

Entri in questi sospiri

Di luna piena.

Il mio amore mi sta stringendo forte

E mi addormento in braccio a lui

Che governa la mia vita,

e con un filo di respiro innamorato

gli canto questa canzone che profuma di passione.)

24/10/10

Poesie d’Oro e d’Argento X

10.

La Danza dell'Amore

La Danza dell'Amore, una carezza di note,

soave come la melodia di una vecchia canzone:

..."Be My Baby"...

..."I'm Yours"...

I Raggi del Sole riscaldano le Foglie

ancora bagnate di Pioggia, con altro Oro,

e altri Profumi, a inebriare la venuta

del Nuovo Giorno.

Il Mattino segue l'Alba, e i suoi Cancelli

si spalancano, avidi di Vita,

densi di Sogno.

Il Fiore sussurra soavi sospiri,

e un petalo, due, si piegano delicatamente,

salutando l'ingresso dei Cavalieri che,

uno dopo l'altro,

varcano la Porta del Castello.

Il Ponte Levatoio si solleva,

e tutto è pace, e gioia, e Armonia

nella Casa.


Raggi di Sole e Pioggia Dorata

incessanti come Nuovi Mattini.

L'Alba non smetterà mai di aprirsi

nelle Luci Soffuse nella Notte.

Il Nuovo Giorno non smetterà mai

di Illuminare la Vita.

Io non smetterò mai di essere Tua.