30/07/10

Magic Waters XII

Magic Waters 12 Robi

Acque magiche

Kim annaspava agitando braccia e gambe nel tentativo di combattere la pressione dell'acqua, trattenendo il respiro più che poteva. Un'impresa disperata, dettata dall'istinto di sopravvivenza più che dalla logica. Infine, nonostante i suoi sforzi, non riuscì più a resistere, e con un ultimo guizzo aprì la bocca, disperando che lei e il suo Max potessero salvarsi. L'acqua le riempì i polmoni in pochi istanti ma, con sua sorpresa, continuava a sentire l'ossigeno fluirle nell'organismo. Subito dopo venne la consapevolezza: una serie di visioni simili a quelle sognate la notte precedente, ma che sapeva fossero ricordi. Percepì la sensazione di avere, al posto delle gambe, una coda pinnata agile e fatta per muoversi nelle profondità marine; abbassando la testa d'istinto si accorse di avere ancora le gambe, ma anche che riusciva a vedere perfettamente nell'acqua, come se i suoi occhi fossero nati per quello; ricordò scene di vita ad Atlantide, comprendendo di averle davvero vissute tramite la sua discendenza da quegli antichi esseri marini; rammentò come i simboli raffigurati sul medaglione trovato in mare, fossero quelli della casata regnante di Atlantide, la sua famiglia. Kim era una figlia degli oceani.

Tutti questi pensieri le attraversarono la mente in frazioni di secondo, lasciando subito il posto a un'altra consapevolezza: se non avesse fatto qualcosa il suo compagno sarebbe morto. Nuotò velocemente verso Max, che si agitava debolmente, sul punto di perdere conoscenza, continuando ad impugnare la spada. Lo afferrò per un braccio, trascinandolo oltre quello che rimaneva delle rocce che avevano formato le pareti della stanza sotterranea, verso la superficie del mare. Mentre risaliva, portando con sé l'archeologo ormai sul punto di perdere coscienza, si stupì della propria forza e dell'agilità con cui si muoveva nell'acqua: trascinare a velocità elevata quel peso non le arrecava alcuna fatica.

Finalmente furono in superficie. Max, dopo aver inalato diverse boccate d'aria a pieni polmoni, iniziava a riprendersi, e una volta giunti a riva riuscì a camminare con le sue gambe, pur barcollando, sempre con la spada stretta nel pugno. Kim invece non mostrava nessun segno di fatica.

- Vi stavo aspettando - sentenziò Don Melville, fermo sulla battigia.

I due ragazzi lo fissarono, stupiti di trovare il loro anfitrione vestito come un mago di altri tempi, con una lunga tunica azzurra che lo copriva dal collo ai piedi, sulla quale erano ricamati segni esoterici con fili dorati. La testa era coperta da un cappuccio, che gli arrivava poco sopra la linea degli occhi. In mano teneva un grosso volume rilegato in pelle.

Max non riusciva ancora a parlare, respirando affannosamente. Kim si rivolse a Don Melville, a chiedere conferma di quello che la sua mente già aveva iniziato a comprendere riguardo gli avvenimenti degli ultimi giorni:

- Non è un caso che sia vestito così... lei sapeva già tutto, vero? E conosce anche il legame che c'era tra Camelot e Atlantide...

- Siamo tutti parte di quel legame - confermò Melville, sorridendo - Sono secoli che viene tramandata la profezia che vi riguarda.

- Quale profezia? - chiese Max, con respiro ancora affannato.

- In realtà non è una, ma sono tante profezie, redatte nei secoli, ma che raccontano tutte le stessa storia. Un tempo quello che vedete laggiù - spiegò Don Melville, indicando il castello che li ospitava - era la sommità dell'isola di Camelot.

- Proprio come è scritto in quei volumi della biblioteca! - esclamò Max.

- Esatto. E in quei documenti c'è anche scritto come Camelot sprofondò nell'oceano, a causa di un cataclisma naturale. E come i suoi abitanti si salvarono, grazie a un patto fatto con il Re dei mari...

- ...Poseidon! - disse Kim, senza esitare.

- Esatto anche questo - ribadì Melville - Quando la Faglia di San Andreas si mosse, molti secoli fa, l'isola di Camelot sprofondò in fondo al Pacifico. Per loro fortuna gli abitanti trovarono un Poseidon ben disposto, che, dopo un patto siglato col loro Re... Re Artù, si, proprio lui (che quindi è di puro sangue messicano, con buona pace di tutti i post-celtici sparsi nel mondo!), concesse loro di vivere, trasformati in tritoni e sirene, nell'Oceano, continuando ad abitare la loro isola ormai sommersa, che nel corso dei secoli le leggende hanno identificato con la mitica Atlantide.

Il Don fece una pausa. Max ne approfittò per chiedere:

- Come mai il castello è rimasto in superficie? E perché le gesta di Artù sono arrivate nel vecchio mondo, in Europa, al punto tale da radicarsi nella cultura anglosassone?

- Prima del cataclisma Artù e una delle figlie di Poseidon si erano incontrati, e innamorati. Ma la loro natura così diversa rendeva impossibile il coronamento della storia. Fu lei a salvarlo dalla catastrofe che colpì Camelot, e a rivelare finalmente a suo padre i sentimenti che provava per quell'umano. Poseidon concesse la propria benedizione a patto che lei rinunciasse alle sue prerogative di sirena e, con il suo uomo, iniziasse la loro vita comune dall'altra parte del mondo, lontani da Camelot e dalle loro genti. Fu così che Artù e la sua sposa andarono nel vecchio mondo, accompagnati dal fedele consigliere di Artù, Merlino, il mio progenitore. Per mantenere il legame con le loro origini, Poseidon gli impose di raccogliere delle pietre da questi fondali, pietre che sarebbero dovute passare di generazione in generazione ai loro discendenti. Questo a rappresentare i medaglioni che ogni abitante delle profondità marine indossa.

- Come nel mio sogno! Anche la Sirena portava un medaglione... questo! - intervenne Kim, mostrando la chiave degli abissi che stringeva in mano.

- Il legame è ancora più stretto, mia giovane amica - sorrise Don Melville - ancora non l'hai capito? Anche tu porti un monile formato da un anello d'oro e una pietra incastonata al centro...

- Le pietre di famiglia... quelle tramandate a ogni primogenito... - mormorò Kim, portando la mano al collo e stringendo quel gioiello che non aveva mai abbandonato dal giorno del suo ventunesimo compleanno.

- Questo significa, mia cara ragazza - riprese Melville - che anche tu sei di stirpe atlantidea. Qualcuno dei tuoi antenati abbandonò le profondità marine per iniziare una vita sulla terraferma... magari per amore, proprio come successe alla Sirena che si unì ad Artù, chi lo sa? Il loro gesto fu imitato nei secoli da molti abitanti di Atlantide, e a ognuno di loro Poseidon impose di portare un monile proprio come il tuo.

- Lei è un discendente di Merlino!? - chiese Max, che aveva seguito tutta la conversazione fra Kim e Melville rimanendo in silenzio - Ma qual è la mia parte in tutta questa storia?

- Non l'hai ancora capito? - fece Melville, sornione - Le profezie sono chiare: i mondi di superficie e sottomarini si sarebbero congiunti di nuovo quando una figlia degli oceani e un discendente di Artù si fossero incontrati in queste acque, innamorandosi. E in quel momento la natura marina di quella figlia dei flutti si sarebbe manifestata, ridandole quindi tutti i poteri di un'ondina.

- Vuol dire... - intervenne Max, stringendo ancora di più la spada nel pugno - vuol dire che io...

- Si, ragazzo. Tu sei quel discendente di Artù di cui parlano le profezie - fissò l'arma che Max teneva in mano - Hai estratto la spada dalla roccia - spiegò sorridendo - Mentre tu - continuò, rivolto a Kim - e ormai ti è ben chiaro, hai nel sangue la linea della casata di Poseidon. Come scritto nelle profezie, vi siete incontrati in queste acque magiche.

La ragazza lo guardò, interrogativa - Che ne è di quel popolo... il mio popolo...

- Il vostro - la corresse Don Melville - anche Max discende da quella gente, la sposa di Artù era una Sirena. Gente che, da questo nucleo originario, si è sparsa per tutti gli oceani, abitandoli, e rendendoli la loro casa. Ora è tempo anche per voi di tornare a casa. Poseidon vi aspetta, per benedirvi, e lasciare che il vostro destino si compia. Un destino scritto da secoli, che è anche il destino degli elementi che compongono la vita su questo pianeta: l'acqua degli oceani da cui entrambi provenite; l'aria turbinosa e il fuoco dei fulmini della tempesta che vi ha fatto incontrare qui, sulla roccia di questo castello che è il vostro castello, quella stessa roccia che ha conservato per secoli Excalibur, la spada di Artù, riportata qui da Merlino dopo la morte del Re, e qui custodita dai discendenti del mago, in attesa che tornasse in mano al suo proprietario. Ora è tua, ragazzo, dopo che l'hai estratta dalla tavola rotonda su cui il tuo antenato fondò la prima grande civiltà della storia moderna!

Max e Kim rimasero in silenzio per lunghi istanti, fissandosi negli occhi, guardando increduli l'imponente struttura del castello che svettava sull'oceano, e che Don Melville aveva affermato fosse loro proprietà, guardando anche il Don con occhi pieni di stupita meraviglia per tutte le magie in cui quelle acque li avevano immersi, cambiando in pochi giorni la loro vita, ridando loro una vita che non sospettavano nemmeno di avere.

Fu Kim a rompere quel silenzio:

- E lei, Don Melville? Che farà ora?

L'uomo sorrise, sotto il cappuccio che gli nascondeva gran parte del viso - Quello che ho sempre fatto. Quello che tutti i miei antenati, a partire dal primo, Merlino, hanno fatto: sono al vostro servizio, miei giovani amici.

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