22/02/10

Il Teschio del Capitano – Parte I

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*Testi in collaborazione con Roberto Sonaglia

Premessa

Questa storia è ispirata ad una nota leggenda popolare. Si dice sia un fatto realmente accaduto più o meno a metà del diciannovesimo secolo. Sconvolse l’intera città di Napoli. Fu così eclatante, che si tramanda da generazioni, sul web ci sono diversi siti che raccontano il fatto, in diverse versioni, tra cui Wikipedia. Io racconto a modo mio quella che narrava mia nonna, alla quale ho sempre creduto.

Ovviamente la storia popolare è molto breve, fatti, situazioni, luoghi (a parte il cimitero stesso), e personaggi esposti nel racconto seguente sono totalmente frutto della mia immaginazione.

Il Cimitero delle Fontanelle è detto anche Cimitero delle anime pezzentelle, perché in tempi molto antichi lì venivano riposti i resti di gente povera, che non poteva permettersi un’adeguata sepoltura. A quanto ne so, per lo più ci sono le spoglie delle vittime della peste che colpì Napoli quattro secoli fa, o soldati morti ai tempi degli spagnoli. Ma non si esclude ci siano anche resti di personaggi illustri. Si dice addirittura che lì, nel 1837, siano stati portati quelli di Giacomo Leopardi, anno in cui morì il poeta, vittima dell’epidemia di colera che colpì la città.

 

Il Teschio del Capitano

Prima Parte

Carmela, in comune con tutte le altre ragazze della sua età, aveva un sogno: sposarsi e portare il cognome del marito, e quello dei suoi futuri figli. Non era molto rilevante con chi farlo, a quei tempi la cosa importante era sistemarsi, e lei che ormai aveva raggiunto un’età che cominciava a farla additare da tutti come la zitella del quartiere - anche se non aveva ancora vent’anni - ne soffriva molto, soprattutto perché le sue coetanee erano tutte quantomeno fidanzate, o promesse spose. Quello che la preoccupava maggiormente era la sua fisicità: il pallore del viso e l’eccessiva magrezza, le davano un aspetto alquanto malaticcio, che gli uomini dell’epoca – e non solo loro – reputavano poco attraente.

La sua amica Concetta un giorno le parlò del Cimitero delle Fontanelle, giurando aver trovato la sua fortuna da quando aveva preso sotto le sue cure il teschio di una delle anime pezzentelle, i cui resti giacevano in completo anonimato proprio lì, chissà da quanto tempo. Concetta era convinta che il suo teschio appartenesse a qualche valoroso eroe del secolo precedente, che non aveva avuto una degna sepoltura perchè secondo lei i veri eroi muoiono senza gloria. Forse era proprio così, ma in realtà Carmela pensava che quel teschio appartenesse soltanto a uno di quei poveretti morti durante la peste che colpì Napoli circa due secoli prima, nel 1656, per essere precisi. Ma tenne per sé quel pensiero; a prescindere a chi appartenesse il teschio, non voleva rischiare che quell’anima salisse dal purgatorio per tormentarla, o gettarle addosso ancora più sfortuna di quanto già ne patisse.

Concetta era sposata da due mesi, e ogni giorno si recava al cimitero per pregare l’anima pezzentella del suo eroe misterioso, e chiedergli la grazia di avere un bel bambino maschio, che avrebbe reso il padre orgoglioso di essere uomo per aver generato un erede, e non dover quindi subire la vergogna di venir visto come un fallito.

Un giorno la ragazza riuscì a convincere Carmela a seguirla in quello strano posto, assicurandole che se avesse preso anche lei in custodia un teschio a cui chiedere la grazia di trovare marito, sicuramente quell’anima sventurata l’avrebbe esaudita presto, proprio come era successo a lei.

Carmela non ci pensò molto prima di accettare, infondo cosa le sarebbe costato? Avrebbe dato a una di quelle anime in pena nel purgatorio l’onore che tutti i morti meritano; l’avrebbe tolto dalla massa dandogli un posto di tutto rispetto sull’altarino che avrebbe creato per venerarlo… e poi… Concetta aveva ragione… se l’avesse trattato bene, sicuramente quell’anima avrebbe fatto in modo di esaudire i suoi desideri.

E così il giorno dopo seguì la sua amica, scelse tra i tanti teschi quello più chiaro: non perché quel chiarore brillò quasi fosse una luce, non appena i suoi occhi si posarono su di esso, ma perché sentì come una voce che le ordinasse “eccomi, devi prendere me”.

Non si lasciò spaventare da quella voce, ma le obbedì mettendo subito il teschio su una teca di cristallo, che faceva da altarino, dopo averlo pulito bene e lucidato, adornato con tanto di rosario, fazzoletti e cuscini ricamati, lumini e fiori. Ora tutto era pronto affinché l’anima esaudisse i suoi desideri.

 

Era passato qualche mese da quando Carmela aveva seguito la sua amica per la prima volta, e quel teschio, per lei, era diventato ormai una specie d’amico – o forse un’ossessione - a cui confidava le sue frustrazioni, e ogni giorno gli chiedeva di esaudire i suoi desideri perché secondo lei, era un diritto che le spettava, visto che fino a quel momento la sua vita era stata vuota come un guscio d’ uovo. La ragazza era così presa da quelle preghiere, che ogni giorno andava al cimitero ad un’ora sempre diversa, perché non voleva che qualcuno la seguisse e intralciasse le sue richieste, o la distraesse dalle implorazioni, o forse solo perché aveva paura di veder derisa la propria devozione verso quel teschio, anche se sapeva benissimo che nessuno avrebbe osato farlo.

Una mattina, mentre si recava in quel posto, finalmente le sue suppliche vennero accolte: incontrò un giovanotto che le mostrò subito interesse. Era un tipo grassoccio e dai modi altezzosi, e per quello che dimostravano il suo abbigliamento e i modi da damerino, doveva provenire anche da una famiglia benestante. Il suo nome era Felice; a Carmela quel nome sembrò un segno del destino, ed immediatamente accettò di buon grado le attenzioni del giovane, tanto che trascorse solo qualche settimana prima che il ragazzo le chiedesse la mano, subito dopo averne fatto richiesta ai genitori, come usavano fare tutti i gentiluomini di quei tempi, e lei non si lasciò sfuggire l’occasione.

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14/02/10

Grandi Speranze

Grandi Speranze

Ascoltami.

I silenzi divenuti parole cantano

la Canzone della Vita,

da vivere senza passato

per carpirne la Vera Essenza.

 

Respirami.

Inala il profumo dei sensi

che muovono le Stelle sulla strada del Sole

per condurle ai segreti svelati

e sussurrati al tuo sangue,

che ruggendo diventa il mio.

 

Assaporami.

Gusta il tempo che morde

il giorno e fugge via,

seguendo la scia dell’Uragano

smosso dalla Spirale di ieri,

visto dal cerchio cresciuto per domani.

 

Guardami.

Leggi negli occhi dell’attesa

il desiderio d’appartenere al Cielo,

di volare nel Blu sgombro da nuvole grigie,

d’immergersi nella rugiada

delle domeniche d’Estate

fatte di risvegli appena sognati.

 

Toccami.

Scivola lungo le mani strette

sui cerchi dell’Amore,

sfiora le labbra che baciano

il padre del Futuro,

accarezza la voglia che vive di Te

mentre muore con Te.

 

Sentimi.

Se muovi l’Anima all’incrocio

delle Grandi Speranze

troverai la porta di Casa

ad aspettare l’Entrata.

Aprila, Roberto. Ed io sarò lì.

Il senso delle cose è custodito

dal sapere di essere Tua.

 

 

Buon San Valentino

    Amore mio

cuore2

            Ti Amo Roberto

                          

                      La Tua

                        Samanta

Ali d’Acqua - Finale

Angel & Mermaid 08 di Robi & Samy California

I loro piedi increduli saggiavano la matericità della Spiaggia, consci di essere lì, per la prima volta, e che era sabbia quella che toccavano, bianca e consistente. Pietra erosa dal vento dei millenni, per loro, solo per loro.
Gabe si voltò verso l’Oceano da cui erano appena emersi, e riconobbe le linee delle Onde, il cui canto silenzioso tante volte aveva ammirato, abbracciato al corpo astrale di Grace. L’Ondina era al suo fianco, e gli stringeva la mano. Tremava, quella mano, era di carne e sangue e tendini e muscoli. L’aveva stretta sotto il Golden Gate, l’aveva tenuta contro il suo petto, giurando di non lasciarla mai. Ora era stretta alla sua, nella Spiaggia Bianca dove le loro impronte, finalmente, lasciavano traccie sulla sabbia.
- Realtà... - mormorò l’Arcangelo, guardandosi intorno, con un sorriso pieno di emozione.
- ...fatta Sogno - concluse Gracelyn, stringendogli ancora più forte la mano.
Camminarono senza dire altro, verso il divano rosso, che li attendeva poco distante dalla battigia. Melville il gabbiano, appena tornato da un volo di ricognizione, li aspettava, e fece loro posto, mettendosi sulla spalliera. Si sedettero, senza che le loro mani si lasciassero.
Il tessuto - impossibile dire cosa fosse, anche se al tatto sembrava pelle - era morbido e fresco, come anche l’aria intorno a loro. Un Paradiso ritrovato, o scoperto per la prima volta. In cui rimanere per sempre.
- Ma siamo veramente qui? Con i nostri corpi materiali, voglio dire? - chiese Grace, toccando con le dita la mano di Gabriel, stretta nella sua.
- Si, siamo proprio qui - rispose l’Arcangelo - finalmente possiamo sentire la brezza che ci accarezza, portandoci il profumo del mare. E il rumore delle onde, ora, copre le parole sussurrate.
- Secondo te c’è un perché?
- Non lo so... non può essere un premio, perché il nostro compito non è ancora finito. Chissà cosa accadrà ora... - disse Gabe.
Gracelyn chiuse gli occhi, e sospirò profondamente - L’Apocalisse- rispose.
- Già, soprattutto se noi rimaniamo qui...
Il Kraken e il Leviatano erano scatenati, il pianeta si trovava sull’orlo di una crisi epocale, forse definitiva, e loro erano stati mandati per compiere una missione.
Gabe si alzò in piedi, e fissò l’Oceano. Sospirò a sua volta, poi si voltò verso l’Ondina, che era rimasta distesa sul divano, con le gambe piegate, e la testa poggiata sulle braccia, fissandolo con uno sguardo indefinibile.
- Michael mi ha dato la chiave per la soluzione - disse l’Arcangelo - un paradosso scientifico.
- Forse la nostra presenza qui è legata a questo... - mormorò Grace, quasi a se stessa.
Gabriel raccontò con pochi, veloci tratti quello che lui e il fratello Celeste si erano detti, a San Francisco, prima di volare per liberarla dalla stretta morsa delle rocce, tremila metri sotto la superficie del mare.
- Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. E il risultato è già scritto, i mostri non possono vincere. Quindi...
- Ci sono! - esclamò Gracelyn, stringendogli la mano - Dobbiamo scambiarci gli avversari! Tu il Kraken, io il Leviatano.
- Già, è proprio quello che mi ha suggerito Michael... - le rispose sorridendo Gabe.
- Si, ma dovremo farlo rimanendo qui. Saranno i nostri corpi astrali a raggiungere la dimensione terrestre e...
- ...e noi li guideremo. Da qui. Dalla Spiaggia Bianca.
Melville lanciò un grido, che ai due prescelti parve pieno di sardonica gioia.

Gracelyn osservava il corpo del mostro riverso di fronte a lei. Non era stato difficile. Aveva creato una serie di campi di forze che avevano imprigionato le bolle di energia del Leviatano, costringendole a implodere, e questo aveva esaurito le forze del colosso, che si era lentamente accartocciato su se stesso, fino a diventare una massa secca e contorta di materia inerte. Non era stato difficile, solo un po’ di sudore e un leggero mal di testa, che un soffio d’aria fresca avrebbe mandato via.

La Spada brillava nella mano di Gabriel, luminosa e tinteggiata di rosso. Il Kraken, col suo unico occhio squarciato e sanguinante, rantolava ai suoi piedi, cercando, con un ultimo guizzo, di capovolgere le sorti dello scontro.
- Non puoi combattere quello che non riesci a vedere - mormorò l’Arcangelo - e tu non hai mai visto la Luce, aberrazione infernale!
Falciò l’aria con la Lama Divina, tranciando di netto la testa del mostro, che rotolò via, lasciando dietro di sé una scia di liquido nerastro.
Gabriel alzò lo sguardo al Cielo, aprì le sue ali, e volò via, in un lampo di Luce bianca.

Chuck sedette sul ponte della barca, con la testa pesante, ma felice. Raphael e Michael, prima di volare via gli avevano spiegato cosa fosse accaduto, rassicurandolo sulle sorti di Gabe e Grace, e su quelle della sua città. Finalmente i pensieri non gli urlavano più nel cervello. Finalmente tutto era calmo, e sereno, e pacifico. A Sidney era ripresa la caotica vitalità di sempre. Pensò alla sua famiglia, che lo aspettava, poteva sentirli, con la coda della mente. Per loro, come per il resto del mondo, il tempo era tornato all’istante precedente il Disastro, cancellando ogni traccia delle devastazioni, anche dalla memoria. Chuck sorrise, e si preparò ad andare a casa.

C’era una cosa che Devereaux non aveva mai capito. E non avrebbe mai capito, ma di sicuro era importante, per comprendere la vera natura della sua enigmatica Direttrice: perché non l’aveva mai vista bere, e perché non portava mai scarpe coi tacchi alti.
- Mysteriès des femmes... - mormorò, scuotendo la testa.

- Tu lo sapevi! - sbottò Poseidon, battendo col pugno sul piano del terminale video, e lanciando una sonora risata, che riempì le stanze e i corridoi di Atlantide, facendo vibrare l’acqua dove Sirene e Tritoni nuotavano pigramente.
- Si. Ma è come un film che ti è piaciuto particolarmente - rispose il Capo - anche se conosci il finale, mantieni sempre una certa... sospensione dell’incredulità, per gustartelo ancora, e ancora, e ancora...
Poseidon socchiuse gli occhi, fissando la faccia dall’altra parte del video - Dimmi un po’ – disse - quando finirà il Mondo?
- Chiedi troppo - ridacchiò il Capo - domanda di riserva?
- Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
- A fare qualche set di tennis? No, meglio di no... sono troppo vecchio per queste cose. Meglio un caffè.
- Si, ma solo se offri Tu! - disse il Signore di Atlantide, alzandosi dalla poltroncina.
- Mi sembra il minimo, dopo tutte le emozioni che ho fatto patire al tuo cuore stagionato!

Michael giocherellava coi bottoni della sua giacca di pelle nera -un regalo di Gabe, per la maturità - e rimaneva stranamente in silenzio.
- Cos’hai? - chiese Raphael - Mi sembri triste.
- Non è tristezza... - lo rassicurò il giovane Arcangelo - sto pensando...
L’Arcangelo Maggiore si avvicinò al compagno, e gli mise una mano sulla spalla - E a cosa pensi?
- All’Amore, Raphy, all’Amore... - disse Michael, sollevando lo sguardo. Il cielo era sgombro da nuvole, e il sole del primo pomeriggio si rifletteva sulla superficie della Baia. San Francisco era tornata alla sua consueta frenesia, tutte le tracce della distruzione arrecata dal Leviatano, scomparse, come mai avvenute.
- L’Amore, già... - mormorò Raphael, sorridendo - ...una cosa strana, dicono.
- Si, l’ho sentito dire anch’io. E vedo Gabriel come lo vive... ma non capisco... - disse il giovane, scuotendo le ali - Come funziona? Come ci si innamora? Tu che hai più esperienza, dimmi... sei mai stato...
Raphael lo interruppe con un cenno della mano, poi indicò un punto a un centinaio di metri da loro - Guarda! - disse.
Proprio sotto il Golden Gate, illuminata da un raggio di sole che si faceva spazio in mezzo all’ombra della struttura metallica, brillava una conchiglia a forma di stella.
- Bella... - disse Michael, con indifferenza.
- No - ribatté Raphael - è magnifica.
Michael guardò l’Arcangelo Maggiore, poi la conchiglia. E comprese: era vero. Non era bella. Era una magnifica meraviglia. Creata senza un apparente motivo, senza niente da capire. Meravigliosa e basta. Come l’Amore.

Le onde lambivano pigramente la sabbia della battigia. Gabe e Grace, abbracciati in silenzio sul divano, si scambiavano l’Amore con gli sguardi. Melville si alzò in volo, lasciandoli soli, e come era stato scritto, il Sole tramontò, e per la prima volta fu la Notte, accompagnata da melodie astrali cantate dalla Luna, con il suo coro di Stelle, sulla Spiaggia Bianca.

FINE

So It must be…


Auguri Samanta


Buon San Valentino

Amore mio


Ti Amo


il Tuo

Roberto

 

10/02/10

Ali d’Acqua XV

Water Wings XVIII

Emersione

Buio. Freddo. Gracelyn aprì gli occhi, ma nessuna luce spazzò via l’oscurità. Per un attimo credette di essere diventata cieca, e un brivido le corse lungo la schiena. Poi ricordò: il Kraken, la lotta, la pioggia di pietre che le rovinavano contro, seppellendola, schiacciandola sul fondo dell’Oceano.
Prima di perdere i sensi, l’Ondina si era istintivamente circondata di un campo di forza telecinetico. Quello le aveva salvato la vita, e continuava a proteggerla, sotto tonnellate di roccia, che la pressione a tremila metri di profondità saldava le une alle altre, come un tumulo.
Un debole richiamo, nella sua mente, l’aveva risvegliata. Una voce conosciuta, che la cercava, chiamandola, con disperata ostinazione. Chuck, il suo amico Chuck, che non si arrendeva, non voleva crederla morta, e questa sua fiducia quasi folle, aveva riportato indietro la Figlia dell’Oceano, persa nell’oblio.
Ma la sua condizione sembrava senza via d’uscita: le rocce, spinte dalla pressione dell’acqua, premevano sempre più contro il campo di forza, e Grace faceva sempre più fatica a mantenerlo saldo, e stabile. Presto anche la sua energia atlantidea non sarebbe più stata sufficiente a controbattere la pressione, il campo di forza avrebbe ceduto, e lei sarebbe morta.

Rumori, deboli, lontani eppure vicini. Come acciaio che cozza contro una superficie solida. E pensieri. Pensieri così potenti da accelerarle il battito del cuore. Gabriel. Il suo Gabriel. Era lì, poco distante, era lì, era venuto a salvarla. Non era morto, Gabriel! Riusciva a sentirlo, con il cuore più che con i sensi, sentiva la Spada di Luce che tagliava le rocce, cercando di creare un varco per raggiungerla. “Dio, anzi, Capo”, come avrebbe detto Gabe, “fa che resista, ti prego! Non farmi cedere proprio ora!”, pregava l’Ondina, col respiro mozzato, distesa col petto premuto contro la sabbia compatta e dura del fondo dell’Oceano.
Ma c’era un’altra Voce, oltre quella di Gabriel, oltre quella di Chuck. Grace riusciva a sentirla. E anche questa parlava al suo cuore, non al cervello, non le arrivava dai poteri telepatici, che erano il suo retaggio di Figlia del Mare. Le arrivava da Altrove. Era una Voce simile a quella di Gabe, ma più tranquilla, più consapevole, più matura. E non parlava a parole. Parlava per immagini. Grace vide scorrere davanti ai suoi occhi Poseidon e Atlantide, San Francisco, il diner, Gabriel, il Kraken, vide l’Oceano e la terra, le città e le persone, Chuck e Devereaux, vide il cielo e le nuvole, e la Spiaggia Bianca.
Se avesse ceduto, tutto sarebbe andato perso, tutto quello per cui ogni atomo del suo corpo, ogni particella intangibile della sua anima, era nata, e aveva vissuto. “Resisti”, sembrava dire quella voce, “combatti, non cedere. Non sei sola, non lo sei mai stata. Tutto esisteva prima di te, tutto continuerà ad esistere con te. Non arrenderti”.
Grace chiuse gli occhi, e strinse i denti. Il campo di forza tremò leggermente. Il rumore della Lama di Gabriel sembrava più vicino, ora. Non poteva cedere. E non per il mondo, non per l’Oceano, per la Spiaggia Bianca e nemmeno per Gabriel. Non poteva cedere per se stessa, perché tutte quelle cose non avrebbero avuto senso, senza di lei.
Gemette e urlò, stringendo i denti fino a farsi male, le unghie che affondavano nella carne dei palmi, e le vene del collo e sulle tempie sembravano sul punto di esplodere. Provava dolore in ogni muscolo e tendine, gocce di sudore le imperlavano la fronte, scendendo lungo il viso, le ossa erano sul punto di spezzarsi, mentre ogni molecola del suo essere dava energia al campo di forza, che tremava e oscillava, sotto la pressione delle rocce.
Si sentì morire più e più volte, la testa piena di quella Voce, dolce ma forte e imperiosa. E le immagini iniziavano a vorticare nel suo cervello come un caleidoscopio folle.
Si sentì morire, ma non cedette. E quando un lampo di luce, e un rumore sordo di rocce scagliate via con forza, le balenarono davanti agli occhi e nelle orecchie, e vide il volto del suo Arcangelo, stravolto dall’assoluta gioia di vederla ancora, ancora viva, un sorriso le piegò le labbra, e mormorò il nome di Gabriel, prima di perdere i sensi.

- Devi portarla in superficie - disse Raphael, poggiando una mano sulla spalla di Gabe - ora ha bisogno di Aria, e di Luce.
Gabriel annuì, e abbracciò l’Ondina, stringendola come fosse la cosa più preziosa del mondo.
- Grazie Raphael... - mormorò - senza di te, e Michael...
L’Arcangelo Maggiore sorrise, battendogli ancora la mano sulla spalla - Vai ora, lei ha bisogno d’Aria e di Luce.
Gabe ricambiò il sorriso, e si lanciò verso l’altro, stringendo Grace, ancora priva di sensi.
Salirono veloci lungo le correnti, mentre la brillantezza del sole, che illuminava di raggi diafani la superficie dell’Oceano, rifrangendosi in profondità, si avvicinava, simile all’Occhio del Capo, che li attendeva, per dar loro il bentornato.
Salirono quasi senza peso, e mentre la pressione diminuiva, e la luce aumentava, Grace si svegliò, vide quella luce sopra di lei, sentì l’abbraccio forte e familiare dell’Arcangelo stringerla e proteggerla, lo guardò negli occhi, e comprese di essere viva.
Infine emersero, rompendo l’acqua di superficie come una barriera troppo tenue per tenerli ancora a lungo imprigionati, e furono nella Luce, e nell’Aria.
La Luce dorata e l’Aria piena di profumi e armonia della Spiaggia Bianca. Si guardarono intorno, sorpresi, poi si fissarono, mentre si dirigevano lentamente, trasportati dal placido moto delle onde, l’una nelle braccia dell’altro, verso la battigia.
Quando i loro piedi materici toccarono per la prima volta la sabbia lattea della Spiaggia, dove tante volte le loro essenze spirituali si erano incontrate, si presero per mano, e si sentirono a casa.

05/02/10

Ali d’Acqua XIV

Water Wings XVIIa

I Messaggeri

- Guarda che roba. L’ho sempre detto che le scienze esatte non sono il tuo forte!
Michael, a braccia incrociate, ridacchiava, spostando lo sguardo da una bolla all’altra: quella che conteneva la Spada di Luce, il cui bagliore sembrava continuamente sul punto di spegnersi, ma sempre tornava a brillare, di luminosità diafana; quella dentro la quale Gabriel era imprigionato, apparentemente privo di sensi. Alle prime parole dell’uomo vestito di nero, però, l’Arcangelo sollevò lo sguardo, e lo fissò in tralice, socchiudendo gli occhi, attraverso l’opacità della bolla.
- Michael..!?
- Dolce risveglio, fratellino. Che ci fai lì dentro? - Gabriel non si mosse, e non rispose, -E come mai la tua Spada è laggiù?- chiese, indicando la seconda bolla.
- Il Leviatano... - mormorò Gabe, che si sentiva svuotato di ogni energia, e anche rispondere richiedeva un’enorme fatica.
- Ha fatto un bel casino, in città, si... dovresti vedere che roba! Ma non hai risposto alla mia domanda. Perché non hai la Spada con te?
- Lui... me l’ha strappata via e...
Michael si avvicinò alla bolla che conteneva l’Arma divina, e toccò la superficie traslucida - ”Strappata via”, che assurdità! Tanto valeva dire che ti aveva strappato via il cuore. Questa - disse, indicando la Lama dorata - è parte di te, Gabe. L’hai dimenticato? Non è tua. E’ te. Come il tuo cuore, appunto... anche se qui ci sarebbe da filosofeggiare un po’. Come sta Gracelyn?
L’Arcangelo lo fissò per alcuni istanti, mentre una scia di pensieri gli attraversava la mente. Ricordi, intuizioni, concetti assimilati e apparentemente dimenticati, ma invece radicati profondamente nelle pieghe del suo Io. Infine comprese. Chiuse gli occhi e si concentrò. La Spada, nella bolla di energia, iniziò a brillare sempre più forte, una luce che si rifrangeva sulle pareti curve, e ritornava all’interno della Lama, poi, con un’esplosione di luce accecante, l’Arma svanì, e si materializzò quasi istantaneamente nella mano destra di Gabriel.
- Alla buon’ora! - ridacchiò Michael - Fisica elementare, fratellino. Ora esci da quella palla di muco infernale!
Gabriel sorrise, e con un rapido colpo di Lama, fendette la superficie della sfera, che parve esplodere, o svanire in un lampo giallo, lasciandolo libero di poggiare di nuovo i piedi a terra. Si stiracchiò, aprì il palmo della mano, e la Spada ritornò a fluire dentro il suo essere, con una pioggia di scintille dorate.
- E ora? - chiese.
- Hai una missione da compiere, no? Anzi, due. Liberare la tua Ondina, e insieme spaccare il culo a quei due mostriciattoli venuti dall’Inferno.
- Si, ma... non ho poteri contro il Leviatano... e anche Gracelyn... il Kraken sembra inibire le sue capacità telepatiche, noi...
Michael sollevò l’indice, e aggrottò le sopracciglia. I suoi occhi azzurri brillarono - Proprietà basilare dell’addizione: la somma non cambia se cambi...
- ...l’ordine dei fattori! - esclamò Gabe, sorridendo - Come ho fatto a non pensarci!
Michael gli batté una mano sulla spalla - Tu sei quello bravo in Storia, no? Io me la sono sempre cavata meglio nelle scienze, a scuola.
Gabe gli lanciò un’occhiata di traverso - Già, ma ero io che ti passavo i compiti in classe, se non ricordo male.
- Sono pigro, lo sai. Chissà, forse per questo il Capo sceglie sempre te, per le missioni divertenti. Andiamo ora, il volo fino all’Australia è lungo.
Michael sorrise ancora una volta, poi dispiegò le grandi ali bianche. Gabriel si concentrò, e una luminescenza diafana iniziò a scintillare sulle sue spalle. I due fratelli si alzarono nell’aria piena di polvere, che iniziava finalmente a posarsi.

Chuck fissava il punto in cui doveva trovarsi Sidney, laggiù, oltre l’orizzonte. Nel mezzo dell’Oceano era difficile avere riferimenti precisi, senza strumenti, ma le sue facoltà mentali gli rimandavano eco di urla, lamenti, agitazione, tutte concentrate in quel punto. Cercava di non pensare emozionalmente, di elaborare solo i dati, per non impazzire. Aveva perso il contatto con Grace da un paio d’ore ormai, e disperava la sua amica fosse ancora viva. Non sapeva cosa fare, se dirigere la barca verso la costa, cercare di contattare Deveraux, attendere lì, sperando succedesse qualcosa. La domanda muta che ogni tanto affiorava sulle sue labbra, veniva ricacciata a forza nei meandri del cervello.
- La stai cercando con questa... - una voce, dietro di lui. Chuck si voltò, fissando la figura alta ed elegante, oltre il bordo della barca, che rimaneva in piedi sull’Oceano, quasi sospesa sopra la superficie dell’acqua. L’uomo, di un’età imprecisata, ma non più giovanissimo, si batteva l’indice contro la tempia - Dovresti cercarla con questo - concluse, poggiando la mano sul cuore.
Chuck non chiese nulla. Da quando conosceva l’Ondina si era abituato a strani eventi, e ancor più strane apparizioni. Sentiva solo che di quell’uomo poteva fidarsi.
La figura alta e potente si avvicinò, camminando sull’acqua, poi si sollevò lentamente, e con una leggerezza innaturale, si posò sul ponte della barca, di fronte a lui. Gli poggiò la mano sul petto e disse:
- Lei è viva, e ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Chiamala. Svegliala.
- Si, ma... poi? Cosa posso fare poi? Lei è laggiù, tremila metri sotto l’Oceano. Io...
- A questo - lo interruppe l’uomo - ci ha già pensato Qualcun altro. Chiamala, Chuck, svegliala. Al resto provvederanno i rinforzi, che stanno già arrivando.
Raphael sollevò la testa, guardando a est un punto del cielo, dove le nuvole iniziavano a diradarsi, e la luce del sole filtrava, rifratta in mille raggi brillanti, e sorrise.